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Lo studio

«Pfas: nella zona rossa quasi 4 mila morti in più»

L'analisi statistica del professor Annibale Biggeri dell'università di Padova nel periodo tra il 1984 e il 2018. «Distribuita acqua contaminata»

Abbassamento della risposta immunitaria ai vaccini e maggior rischio di contrarre patologie tumorali per i residenti nei Comuni della zona rossa, quelli che si ritrovano nel sangue concentrazioni più alte di Pfas. Due temi già trattati nel corso del processo in svolgimento in Corte d'assise a Vicenza che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Ma che nell'udienza di lunedì 11 dicembre sono stati dettagliati da Annibale Biggeri, sentito come teste dall'avvocato di parte civile Cerutia, attuale professore ordinario di statistica medica all'università di Padova e prima all'università di Firenze con analogo incarico. Ha riferito di due studi condotti.

Il primo studio

Il primo, finanziato dal ministero dell'università, è stato realizzato con la società per l'epidemiologia e prevenzione "Maccacaro" (impresa sociale senza scopo di lucro) per l'Istituto superiore della sanità. Ha indagato la mortalità inerente il Covid-19 a livello nazionale, realizzando una mappa comune per comune. Un approfondimento sul Veneto, riferendosi ai Comuni inseriti nella cosiddetta area rossa che ricade nel triangolo localizzato tra le province di Vicenza, Padova e Verona, ha fatto emergere «che qui il rischio di mortalità nella prima ondata è stato del 60% superiore alla media pari a 63 decessi, mentre prendendo in considerazione tutte e tre le ondate a partire dal 2020 è stato rilevato un più 27% pari a 431 morti».

Il professore universitario, sentito come teste, ha anche sottolineato un particolare di estrema rilevanza: «Tra il 1984 ed il 1995 è stato ristrutturato l'acquedotto di Madonna di Lonigo, a cui in quel periodo sono stati allacciati tutti i 30 comuni che ricadono nell'area rossa. Nella totale inconsapevolezza è stata distribuita ai cittadini acqua contaminata».

Il secondo studio

Il secondo studio, commissionato dalla Regione e condotto per l'università di Padova, aveva come obiettivo quello di analizzare il tasso di mortalità nelle aree colpite dagli sversamenti di Miteni. «L'indagine ha preso come riferimento il periodo tra il 1980 ed il 2018 nei comuni dell'area rossa mettendoli a confronto con la popolazione delle rispettive province, circa 155 mila persone. In 38 anni i decessi, per tutte le cause, sono stati 59 mila. Tolti i quattro anni dal 1980 al 1984 in cui i territori non erano ancora allacciati al centro idrico di Madonna di Lonigo, sono stati 51.621, dei quali 3.890, ovverosia il 7%, non attesi e quindi non dovevano esserci. In pratica c'è stato un morto in eccesso ogni tre giorni».

Andando ad analizzare «le patologie oncologiche, in zona rossa tra il 2015 ed il 2018 ci sono stati 41 decessi per patologie oncologiche riguardanti il rene mentre statisticamente ne erano attesi 24, dunque 17 in più. Riguardo al tumore al testicolo (è stato ricordato che a partire dal 2000 grazie alle nuove terapie l'esito non è più mortale, ndr), in precedenza tra il 1985 ed il 1999 ci sono stati 6 decessi rispetto ai 4 attesi; restringendo il campo alla zona rossa, i decessi sono stati 5 rispetto ai 2 attesi».

Altro dato emerso nel corso della deposizione è che se si hanno Pfas nel sangue, il rischio di morte aumenta quanto più si è giovani. E le madri lo passano in parte ai figli. «Su un campione di 1.100 donne è risultato che chi non ha avuto figli aveva in media 51 nanogrammi su litro di Pfoa nel sangue, 17 chi aveva un figlio e 9,7 chi più di due».Per le parti civili, sentiti anche il prof. Adriano Zamperini, ordinario di psicologia sociale all'università di Padova, che ha relazionato sulle ricadute psicosociali tra la popolazione in zona rossa e arancione e Francesco Bertola, presidente di Isde-Medici per l'ambiente di Vicenza sull'infertilità nei soggetti contaminati.

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Giorgio Zordan

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