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L'inchiesta

Sparatoria a Fara Vicentino: tre le armi che hanno fatto fuoco. Anche Alex Frusti ha esploso due colpi

La procura disporrà una perizia balistica mentre prosegue l’indagine antiterrorismo. Il legale: «Gli operatori hanno rispettato le regole»
Alex Frusti, 41 anni, l’istruttore della polizia locale ferito, sta migliorando e saluta con il pollice alzato (FOTO STUDIOSTELLA)
Alex Frusti, 41 anni, l’istruttore della polizia locale ferito, sta migliorando e saluta con il pollice alzato (FOTO STUDIOSTELLA)
Alex Frusti, 41 anni, l’istruttore della polizia locale ferito, sta migliorando e saluta con il pollice alzato (FOTO STUDIOSTELLA)
Alex Frusti, 41 anni, l’istruttore della polizia locale ferito, sta migliorando e saluta con il pollice alzato (FOTO STUDIOSTELLA)

A sparare a Fara Vicentino lunedì mattina (24 aprile) sono state tre armi. Gli inquirenti ne sono convinti. Oltre a quella sottratta all’appuntato dei carabinieri, con cui ha fatto fuoco il cittadino marocchino Soufiane Boubaruga, che ha ferito l’agente Alex Frusti, e a quella del brigadiere, che ha colpito il giovane, ha esploso colpi la pistola dello stesso Frusti. L’istruttore, 41 anni, ricoverato in rianimazione, avrebbe premuto il grilletto 2-3 volte, e non è escluso che fra questi ci sia stato anche il colpo fatale. Per questo la procura potrebbe - come atto dovuto - iscrivere anche lui sul registro degli indagati, al pari del brigadiere. L’autopsia affidata al medico legale Cecchetto, che slitta ad oggi, farà chiarezza. Sia il brigadiere, difeso dall’avv. Nicola Guerra, che la famiglia Boubaruga, tutelata dall’avv. Paolo Pastre, potranno nominare un proprio consulente. Sarà disposta una consulenza balistica. 

Il luogo della sparatoria e, nel riquadro, la vittima Soufiane Boubaruga (FOTO STUDIOSTELLA)
Il luogo della sparatoria e, nel riquadro, la vittima Soufiane Boubaruga (FOTO STUDIOSTELLA)

L'indagine

Sul conflitto a fuoco di Fara, che ha provocato la morte di Boubagura e il grave ferimento di Frusti, il lavoro degli investigatori, coordinati dal sostituto procuratore Cristina Carunchio, sta seguendo due percorsi paralleli ma che puntano, entrambi, ad arrivare a fare piena luce su quanto accaduto lunedì. Accanto all’indagine affidata ai carabinieri del nucleo investigativo, si affianca infatti quella informativa portata avanti dai detective della Digos della questura e dai militari dell’Arma del Ros. Il loro obiettivo è quello di scandagliare il passato di Boubagura per ricostruire il percorso fatto dal giovane nordafricano da quando è arrivato nel nostro Paese e verificare se, soprattutto nell’ultimo periodo, fosse entrato in contatto con qualche gruppo di matrice islamista che lo avesse portato a radicalizzarsi. Tra le frasi sconnesse che il ragazzo avrebbe pronunciato prima della sparatoria qualcuno avrebbe udito quelle due parole «Allah akbar» (Allah è il più grande) che sono soliti pronunciare gli attentatori prima di entrare in azione. Ecco, ammesso che davvero sia stata questa l’espressione utilizzata da Boubagura, gli investigatori vogliono accertare (oltre ogni dubbio) se quelle parole si riferissero esclusivamente al delirio in cui il giovane era precipitato quel giorno, oppure se avessero un significato diverso. E allora la narrazione del caso assumerebbe tutt’altro peso e significato. 

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La ricostruzione

Intanto, gli inquirenti grazie alle testimonianze hanno un quadro più chiaro del dramma. Dopo aver fermato il marocchino, che pareva non in sé, i carabinieri lo hanno colpito col taser, senza esito; e l’appuntato è corso in auto per dare l’allarme alla centrale. In quell’istante, mentre era mezzo seduto sulla gazzella, il giovane lo ha aggredito con una forza inaspettata, spintonandolo; e mentre l’altro cercava di allontanarlo, gli ha sottratto la pistola che il carabiniere aveva preso in mano. Poi i colpi - i primi non sono partiti perché l’arma era in sicura - e il dramma. 

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Il legale

«È stata una frazione di secondo - ha commentato ieri l’avv. Deborah Squarzon, che tutela l’appuntato, che non è indagato -. Con una violenza spaventosa il marocchino ha strappato la pistola dalle mani del mio assistito, che la teneva con la sicura con i 15 colpi nel caricatore, come doveva essere, e che l’aveva appena estratta dalla fondina vista l’aggressione fulminea. Si sono sentiti diversi commenti ipocriti in questi giorni, la verità è che il carabiniere ha agito come da prassi e poi, rapinato e disarmato, ha urlato ai colleghi e si è coperto. Ha seguito alla lettera le disposizioni». Per l’avvocato, quanto accaduto dimostra come si sia creato un timore esteso nelle forze dell’ordine sull’utilizzo delle armi. «Anche il brigadiere, se posso osservare, ha agito nel rispetto delle regole. Non ha sbagliato».

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Matteo Bernardini

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