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Cassola

Malato grave scrive all’Ulss: «Voglio il suicidio assistito»

Appoggio al suicidio assistito: in Veneto arriva la prima richiesta ufficiale inviata a un’Ulss, da parte di un paziente vittima dalla nascita di una malattia genetica degenerativa, che lo costringe su una sedia a rotelle, attaccato a un respiratore e che sta limitando la sua autonomia vitale in modo sempre più devastante. Mittente della richiesta via Pec, inoltrata nelle scorse ore anche attraverso una raccomandata, all’Ulss 7 Pedemontana, è Stefano Gheller, 49 anni, di Cassola, affetto da distrofia muscolare, sottoposto dall’adolescenza a trattamenti di sostegno vitale. Gheller chiede formalmente all’Ulss 7 di dargli l’ok al trattamento di fine vita, quando riterrà necessario avviarlo. 
Il documento «Il sottoscritto Stefano Gheller, affetto da patologia irreversibile distrofica muscolare facio scapolo omerale e sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, alla luce della mia condizione di salute, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche, che reputo intollerabili, nella piena capacità di autodeterminarmi con scelte consapevoli, pienamente a conoscenza della legge 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”; poiché la mia scelta allo stato attuale è di non procedere alla sospensione dei trattamenti in corso previa attivazione di trattamento palliativo e sedazione profonda, ma di procedere con suicidio medicalmente assistito, con la presente chiedo di attivare con urgenza la procedura prevista per l’accesso legale al suicidio medicalmente assistito come da sentenza n. 242/19 della Corte Costituzionale. Pertanto chiedo con urgenza di essere sottoposto da parte dei medici della struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, a verifica delle mie condizioni di salute e che siano stabilite le modalità di auto somministrazione del farmaco idoneo».
La testimonianza Le condizioni di Gheller, negli ultimi mesi, sono peggiorate a vista d’occhio. Adesso, rispetto a marzo scorso, non riesce più nemmeno a parlare in modo comprensibile e non gli è più possibile nutrirsi in maniera libera, assumendo gli alimenti preferiti che per anni sono stati il suo unico conforto: «Sono in carrozzina dall’età di 15 anni - spiega ancora nel documento inviato all’Ulss 7 - utilizzo un respiratore con mascherina H24, non posso né mangiare né bere da solo, le braccia non riesco ad utilizzarle tranne per piccoli movimenti. Rispetto al ricovero del 2019 documentato in allegato ora ho problemi nel parlare, nel mangiare e nel bere, con il cibo e i liquidi che mi vanno per traverso. Oltre a dolori posturali. Io non ce la faccio più: voglio sapere di poter decidere quando andarmene, e voglio sapere di avere il sostegno della nostra sanità per poterlo fare vicino alle persone che amo, in totale libertà. Voglio cambiare le cose, e voglio che succeda adesso. Non voglio essere sottoposto ad ulteriori sofferenze per me intollerabili».
L’associazione Dopo il caso di Mario, al secolo Federico Carboni, 43enne tetraplegico, immobilizzato a letto da oltre 10 anni, che lo scorso novembre ha vinto la sua battaglia ottenendo il primo sì a un suicidio assistito in Italia, approvato dal comitato etico di un'Asl delle Marche, che ha attestato come possiedesse i requisiti per l'accesso legale alla scelta della dolce morte, e mentre proprio in queste ore sempre nelle marche si dibatte intorno a un altro caso, adesso anche Gheller è tornato a rimarcare la necessità di una legge a sostegno dell’eutanasia. Ne aveva già parlato in passato, ma senza procedere ad atti ufficaili come questa volta. L’ha fatto con azioni forti, informandosi anche presso l’associazione “Luca Coscioni”, instaurando un rapporto con il direttore della sede vicentina, Diego Silvestri. «Preciso che finora Stefano non ci ha affidato incarichi ufficiali ma ha soltanto chiesto consulenza - spiega quest’ultimo -. Noi non promuoviamo il suicidio assistito: appoggiamo, se richiesti, le persone che chiedono questo diritto e lo facciamo perché crediamo che ognuno debba avere la libertà di scegliere. Nel caso di Mario, il comitato etico aveva dato la sua approvazione, ma lui si era dovuto affidare a una raccolta fondi da noi sostenuta per attivare la pratica del fine vita. Vorremmo che le cose cambiassero ancora, e che la libertà fosse più trasversale, anche nel sostegno economico di questa scelta. È tempo di smettere di dovere ingiustamente battagliare per un diritto che dovrebbe essere ritenuto acquisito fin dalla nascita dell’essere umano».

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Francesca Cavedagna

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