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Bassano

«Voglio poter morire, la mia malattia peggiora»

Stefano Gheller qui con l'amica Ornella Cunial e la badante Joy Stephen
Stefano Gheller qui con l'amica Ornella Cunial e la badante Joy Stephen
Stefano Gheller qui con l'amica Ornella Cunial e la badante Joy Stephen
Stefano Gheller qui con l'amica Ornella Cunial e la badante Joy Stephen

«Anch'io voglio poter mettere fine alla mia vita, appena non ci saranno più le condizioni per continuare a stare qui». Dopo il caso di Mario, il 43enne tetraplegico, immobilizzato a letto da oltre 10 anni, che lo scorso novembre ha vinto la sua battaglia ottenendo il primo sì a un suicidio assistito in Italia, approvato dal comitato etico dell'Asl delle Marche, che ha attestato come il marchigiano possieda i requisiti per l'accesso legale alla scelta della dolce morte, adesso anche Stefano Gheller, bassanese di 49 anni, affetto da quando ne aveva 14 da una grave forma di distrofia muscolare che lo immobilizza su una sedia a rotelle, attaccato a un respiratore, obbligandolo a un'assistenza costante, torna a rimarcare la necessità di una legge a sostegno dell'eutanasia. È pronto a farlo con azioni forti, sostenute anche dall'associazione "Luca Coscioni", con il direttore della sede vicentina, Diego Silvestri, che si prepara ad avviare tutte le procedure per ottenere il "permesso" di mettere fine alla sua vita in modo assistito, quando sentirà che è venuto il momento.

E Stefano, che questa idea la coltiva già da diversi anni, ma che l'aveva parzialmente accantonata, per il nuovo vigore affettivo dato dai diversi contatti e dalle nuove amicizie che hanno arricchito la sua vita, da quando ha raccontato di volervi porre fine nel 2019, avviando anche una campagna di raccolta fondi per recarsi in una clinica in Svizzera, spiega le motivazioni della sua rinnovata volontà, senza paure o mezzi termini. «Non ho mai cambiato idea, semplicemente non posso mettere fine alla mia vita fino a quando mia sorella, affetta dalla mia stessa malattia, anche la sua in costante peggioramento, avrà bisogno di me - racconta -. Intraprendere e vincere questa battaglia è la degna e unica eredità che posso lasciarle, così che anche lei, quando lo vorrà, possa essere libera di fare la mia stessa scelta». Stefano, residente in una casa popolare di Cassola, è seguito 24 ore al giorno dalla badante Joy. Ha bisogno di lei per tutto: mangiare, bere, soffiarsi il naso, lavarsi, spostarsi. E la situazione sta peggiorando: «Nell'ultimo anno il mio quadro clinico è precipitato - racconta con fatica, scandendo le parole rispettando il tempo stabilito dal respiratore, macchinario che lo mantiene in vita -. E non è che prima stessi bene. Ma adesso non ho più la sensibilità del labbro inferiore e anche mangiare è diventato un problema perché anche un chicco di riso rischia di farmi soffocare. Il cibo era l'unica cosa che mi dava un minimo di gioia ma adesso ho paura solo all'idea di farmi accompagnare a tavola per la cena. Ho dovuto rinunciare anche alla birra, che ogni tanto mi concedevo, perché le bevande gassate aumentano il rischio. Non riesco più a mandare i messaggi sul telefono per la costante perdita di sensibilità alle mani e poi sono stanco di farmi pulire da qualcun altro, non è facile per un uomo della mia età mettere il proprio corpo nelle mani della badante, ci si vergogna e si perde ogni volta anche la poca dignità che ti è rimasta». E c'è proprio il concetto di "dignità" alla base della nuova battaglia intrapresa da Gheller per ottenere il consenso all'eutanasia: «Voglio morire con dignità e voglio che possano scegliere di farlo tutte le persone nelle mie condizioni - conclude -. Vorrei ricordare ai legislatori che se io volessi potrei rifiutare di indossare il casco del respiratore che mi tiene in vita. Morirei in breve tempo, ma tra dolori lancinanti. In quel caso mi avrebbero ucciso loro, non mi sarei ammazzato io, e lo avrebbero fatto facendomi pure soffrire solo perché non mi hanno dato la possibilità di morire con dignità nel mio Paese, senza dover andare in Svizzera pagando oltre 10 mila euro. E tutto per ottenere un destino al quale sono condannato da quando avevo 14 anni, ma per il quale pretendo di avere il diritto di scegliere come e quando farlo avvenire. È l'unica libertà che questa malattia mi ha concesso, pretendo almeno questa. Non mi sembra di chiedere poi tanto, e se aveste fatto la stessa vita che ho fatto io, sareste d'accordo con me».

L'appello di Gheller arriva dopo che la Corte Costituzionale, martedì, ha bocciato il referendum sull'eutanasia, dichiarando inammissibile il quesito proposto dall'Associazione Coscioni. Dopo tre ore di camera di consiglio, la Consulta ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, «a seguito dell'abrogazione, ancorché parziale, della norma sull'omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». Dato che la Corte Costituzionale ha dichiarato l'inammissibilità, non ci sarà quindi il referendum sull'eutanasia, per il quale erano state raccolte oltre 1 milione e 200 mila firme: se la decisione fosse stata diversa, probabilmente si sarebbe andati al voto in primavera. La situazione invece non si è sbloccata ma nonostante questo il 49enne Stefano Gheller andrà avanti, sempre col sostegno dell'associazione "Luca Coscioni".

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