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USA E ARABIA, I SOLITI ALLEATI

Giornalkisti alla conferenza stampa del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, con il ministro degli Esteri deell’Arabia Saudita, Adel al-Jubeir. Non a caso il primo viaggio di Pompeo è stato fatto in Medio Oriente. ANSA/AP PHOTO/AMR NABIL Mohammedi bin Salman con il presidente cinese Xi Jinping
Giornalkisti alla conferenza stampa del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, con il ministro degli Esteri deell’Arabia Saudita, Adel al-Jubeir. Non a caso il primo viaggio di Pompeo è stato fatto in Medio Oriente. ANSA/AP PHOTO/AMR NABIL Mohammedi bin Salman con il presidente cinese Xi Jinping
Giornalkisti alla conferenza stampa del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, con il ministro degli Esteri deell’Arabia Saudita, Adel al-Jubeir. Non a caso il primo viaggio di Pompeo è stato fatto in Medio Oriente. ANSA/AP PHOTO/AMR NABIL Mohammedi bin Salman con il presidente cinese Xi Jinping
Giornalkisti alla conferenza stampa del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, con il ministro degli Esteri deell’Arabia Saudita, Adel al-Jubeir. Non a caso il primo viaggio di Pompeo è stato fatto in Medio Oriente. ANSA/AP PHOTO/AMR NABIL Mohammedi bin Salman con il presidente cinese Xi Jinping

C’è una cosa che è cambiata nella politica estera degli Stati Uniti da quando Donald Trump ha preso possesso della Casa Bianca: la posizione da tenere in quel sanguinoso ginepraio che da sempre è il Medio Oriente. E in particolare l’attenzione verrebbe da dire affettuosa riservata allo storico alleato nella regione, l’Arabia Saudita, dopo che Barack Obama non aveva perso occasione di contestare al regno dei Saud che non era più accettabile il modo con cui esercitavano la repressione interna, l’atteggiamento retrogrado nei confronti delle donne e l’opposizione aggressiva a qualsiasi iniziativa geopolitica che riguardasse l’Iran, rivale sciita nello scacchiere della regione. Non è un caso che proprio durante l’ultima parte della presidenza Obama gli Stati Uniti abbiano raggiunto con Teheran il discusso accordo sul nucleare che permetteva il progressivo reingresso in società del Paese degli ayatollah, a dispetto della feroce opposizione, per motivi diversi, tanto dell’Arabia quanto di Israele. Due fattori, o meglio, due persone hanno scompaginato e stanno scompaginando questa nuova linea, restaurando gli antichi equilibri: la prima, come detto, è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, la seconda è il principe ereditario di casa Saud, Mohammed bin Salman, familiarmente abbreviato in Mbs e considerato il grande riformatore del Paese custode della forma più retrograda di Islam. In un lungo articolo di Dexter Filkins sul New Yorker si ricostruiscono le fasi che hanno portato Mbs a influenzare la svolta americana e si attribuisce molta importanza al ruolo svolto da Jared Kushner, genero di Trump, e fino a qualche tempo fa incaricato speciale di gestire i rapporti con i leader del Medio Oriente. Grazie anche al feeling dei due giovani rampolli, Kushner e Mbs, appunto, l’amministrazione americana ha deciso di sterzare verso il rafforzamento dell’alleanza prendendo per buone le riforme annunciate dal principe ereditario, autore di un clamoroso repulisti, con arresti e defenestrazioni, all’interno dell’establishment di Riad. E lo ha fatto, si percepisce dalla ricostruzione minuziosa dei fatti del New Yorker, con l’aiuto determinante di Washington che, nella lotta di potere all’interno della famiglia reale, ha preso decisamente le parti di Mbs. Vale la pena ricordare le contraddizioni evidenti di un’alleanza fra la più grande democrazia del mondo e la terra da cui provenivano molti attentatori dell’11 settembre. Per non parlare del ruolo di finanziatori occulti ai movimenti legati all’universo del terrorismo che affonda le radici nel wahabismo: un modo inaccettabile di far coesistere l’alleanza con l’occidente e la rigida interpretazione del Corano da parte degli estremisti sauditi. Ecco, Obama voleva spezzare questa contraddizione e mettere l’Arabia con le spalle al muro, a costo di riabilitare gli ayatollah dell’Iran. Mohammed bin Salman ha fornito alla nuova amministrazione Trump il destro di riconsiderare questa politica. Le riforme moderniste del principe ereditario, imposte con metodi forse più duri dei custodi della “purezza” della religione, costituiscono musica per le orecchie degli americani: la cacciata degli estremisti dalla stanza dei bottoni, il via libera alle donne alla guida delle auto e perfino nel Cda dell’Aramco, la società petrolifera che Mbs vuole quotare in Borsa per incassare i soldi necessari a sviluppare un’economia araba non dipendente esclusivamente dal petrolio, il ritorno dei cinema (vedi box), sono tutti esempi di come il giovane principe intenda mantenere gli impegni con Kushner prima e con Mike Pompeo, nuovo segretario di Stato (che non a caso ha fatto il suo primo viaggio ufficiale in Medio Oriente), adesso. In cambio Trump e il Pentagono hanno dato una mano all’Arabia anche nella guerra contro i ribelli Houthi in Yemen, come rivelato dal New York Times. «L’accordo sul nucleare non è sufficiente per frenare l’Iran e ottenerne moderazione - ha detto Pompeo -. Se non possiamo aggiustare l’accordo, allora ne usciremo». Più chiaro di così. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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