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CONGO, LA TRUFFA ELETTORALE

Martin Fayulu parla davanti ai suoi fan, Il candidato dell’opposizione, secondo i dati degli osservatori della Chiesa, avrebbe vinto le elezioni con oltre il 60 per cento dei voti. Ma la Corte ha incoronato Tshisekedi. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAMFelix Tshisekedi abbraccia Joseph Kabila. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAM
Martin Fayulu parla davanti ai suoi fan, Il candidato dell’opposizione, secondo i dati degli osservatori della Chiesa, avrebbe vinto le elezioni con oltre il 60 per cento dei voti. Ma la Corte ha incoronato Tshisekedi. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAMFelix Tshisekedi abbraccia Joseph Kabila. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAM
Martin Fayulu parla davanti ai suoi fan, Il candidato dell’opposizione, secondo i dati degli osservatori della Chiesa, avrebbe vinto le elezioni con oltre il 60 per cento dei voti. Ma la Corte ha incoronato Tshisekedi. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAMFelix Tshisekedi abbraccia Joseph Kabila. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAM
Martin Fayulu parla davanti ai suoi fan, Il candidato dell’opposizione, secondo i dati degli osservatori della Chiesa, avrebbe vinto le elezioni con oltre il 60 per cento dei voti. Ma la Corte ha incoronato Tshisekedi. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAMFelix Tshisekedi abbraccia Joseph Kabila. EPA/HUGH KINSELLA CUNNINGHAM

La truffa elettorale del secolo è stata metabolizzata per quieto vivere. E per scongiurare un possibile bagno di sangue. L’uscita di scena, si fa per dire, di Joseph Kabila dopo 18 anni durante i quali il Congo è diventato il simbolo mondiale della corruzione e dello sfascio, è stata considerata dal Sudafrica e dall’Unione africana una buona contropartita per digerire la proclamazione, da parte della Coste Costituzionale, di Felix Tshisekedi quale presidente del Paese. In fondo si tratta pur sempre di un esponente storico dell’opposizione: suo padre, Etienne, è stato per anni strenuo avversario di Mobutu dopo essere stato parte del governo, e a diverse istituzioni internazionali questo basta come garanzia per digerire un cambio di regime senza spargimento di sangue. La verità, come dimostrano i dati raccolti dai 40 mila osservatori dispiegati dalla Chiesa cattolica, una delle poche istituzioni rispettate e credibili del Paese, è completamente e matematicamente diversa. «Secondo i dati dei vescovi cattolici che hanno documentato lo spoglio del 71,53% dei voti- scrive Tempi - l’altro candidato dell’opposizione, Martin Fayulu ha ottenuto il 62% dei voti (e non il 34,7% attribuitogli dalla Commissione elettorale), mentre Tshisekedi è stato votato da appena il 16,88% degli elettori e non dal 38,5%. Se anche il nome di Tshisekedi fosse presente sul restante 29% delle schede non visionate dagli osservatori della Chiesa cattolica, avrebbe comunque perso. La Conferenza episcopale ha anche chiesto alla commissione elettorale di pubblicare i risultati seggio per seggio, cosa che la Ceni ha rifiutato di fare». Il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, ha fatto buon viso a cattiva sorte e, dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, si è congratulato con Tshisekedi e, come ricorda The Economist, «ha invitato tutti gli stakeholders ad accettare il risultato e a continuare il viaggio di consolidamento della pace per unire il popolo del Congo e per creare una vita migliore per tutti». Ma costruire il futuro del Congo partendo da radici avariate equivale a tradire la fiducia, sempre che ne sia rimasta traccia, del popolo. E sempre che la democrazia, inteso come sistema di governo e di selezione della classe dirigente, abbia un senso a queste latitudini. Perché la verità è che i fan di Kabila il proprio candidato ce l’avevano ed era Emmanuel Ramazani Shadary. Avevano pensato di procedere con i brogli ma il consenso a questo scherano del presidente uscente era talmente basso che perfino in Congo è stato impossibile arrivare a tanto. E così hanno deviato su Tshisekedi, che un giorno prima della presentazione della candidature si era impegnato a sostenere Fayulu, salvo poi optare per una discesa in campo solitaria e, come dire, più rassicurante per l’establishment uscente. Con la Cina che in Africa porta avanti la sua politica neocolonialista senza scrupoli, tanto l’Unione europea quanto l’Unione africana puntavano a chiudere la questione del passaggio di poteri in Congo senza problemi e, soprattutto, senza infliggere ulteriori sofferenze agli 80 milioni di abitanti di un Paese allo stremo e che ha subito devastazioni dalla guerra civile 1998-2003 ad oggi. E quando è arrivato il pronunciamento della Corte di Kinshasa, zeppa di magistrati nominati dal regime di Kabila, la tentazione di chiudere il fascicolo brogli è stata troppo forte. «Eppure la decisione di ignorare questa gigantesca truffa porta con sé dei costi molto alti da pagare - scrive The Economist -. La proclamazione di Tshisekedi alla presidenza non inganna nessuno e i tanti sostenitori di Fayulu si sentono comprensibilmente oltraggiati. E neanche i ricchi compari di Kabila sono particolarmente felici dal momento che speravano di truccare il risultato delle elezioni in modo meno pacchiano. Il Congo adesso si ritrova con un regime illegittimo, lacerato da contrasti interni, guidato da una leadership inetta in sella a uno Stato sull’orlo del fallimento». Se questo è il costo della stabilità, meglio essere instabili. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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