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Quei dolci
promossi
da Artusi

Pellegrino diede un 10 e lode alla focaccia della Meneghina che il professore berico gli spedì. I due s’erano conosciuti perchè appassionati di Foscolo
La terza edizione del manuale “La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene”, edito da Salani, Firenze
La terza edizione del manuale “La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene”, edito da Salani, Firenze
La terza edizione del manuale “La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene”, edito da Salani, Firenze
La terza edizione del manuale “La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene”, edito da Salani, Firenze

Mattea Gazzola

Nella sua pagella ai sapori italiani il maestro Pellegrino Artusi non ha dubbi: la focaccia della Meneghina merita un 10 e lode. Promossa a pieni voti.

Al secondo piano della sua casa a Firenze, nella centralissima piazza d’Azeglio Artusi, affonda occhi e bocca in questa focaccia che Francesco Trevisan gli ha fatto recapitare direttamente di Vicenza. Ne rimane soddisfatto. Il 29 marzo 1887 scrive all’amico: “La focaccia della Meneghina, oltre ad essere eccellente nel suo genere, ha il merito di conservarsi inalterata ed ha gusto più fine delle altre paste che le somigliano. Ritorni dunque presto a Firenze che io mi propongo di farle assaggiare qualche cosa che sappia, se non di squisito, almeno di nuovo fra i tanti piatti che ho registrati”.

L’amicizia tra il vicentino di Villaverla Francesco Trevisan e il toscano di Forlimpopoli Pellegrino Artusi (1820, Forlimpopoli- 1911, Firenze) l’uno metodico professore di lettere nei licei di Venezia, Mantova e Verona, l’altro fantasioso gastronomo e autore de “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”, nasce sotto il segno della comune passione per Ugo Foscolo. E’ proprio nel nome del poeta dei Sepolcri che i due iniziano un vivace scambio epistolare in bilico tra critica letteraria e scienza culinaria, che si protrae per quasi trent’anni, dal 1881 al 1907.

A partire dal 1887 Trevisan non manca mai l’occasione di mandare a Firenze gustosi regali. Il 17 febbraio di quell’anno Artusi riceve alcuni dolci vicentini e ribadisce che “nel loro genere quelle paste mi sembrano eccellenti e di composizione perfetta, ma non destano sorpresa di novità. La focaccia a panini è molto simile alla pasta brioche fatta col lievito di birra e i ravioli, che io chiamerei più propriamente tortelli di pasta sfoglia, non sono altro che paste sfoglie finissime”. Insomma, bene il risultato ma tecnica poco originale; e all’amico Trevisan chiedeva di “verificare quando cominciò l’uso del caffè a Venezia” per corredare la sua opera della notizia.

La scienza in cucina si venne formando proprio in quegli stessi anno, grazie a scambi epistolari e scambi di esperienze di cucina domestica con amici di tutta Italia. Non solo ricette: quello che rende peculiare il lavoro di Artusi è infatti l’aver raccontato con le ricette anche le tante storie delle persone che dal nord al sud dell’Italia, passando per le grandi città di Torino, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e anche Vicenza, lo istruivano con sapori nuovi.

A Trevisan che chiedeva notizie sul procedere del suo libro, Artusi scriveva l’1 aprile 1890: “Il mio trattato di culinaria (non rida) non lo dimentico mai e vi lavoro di pratica provando e riprovando, ma a qual pro’, che non vedrà mai la luce del giorno? … Mi feci ardito di offrirlo ai Fratelli Treves di Milano, che pubblicano tanti romanzacci, e mi risposero che quella materia era esclusa dalla loro tipografia”. Tenace nel sostenere le sue convinzioni, deluso dal mercato editoriale che privilegiava romanzacci a libri utili, Artusi teorizzava in poche righe la filosofia gastronomica sottesa ai suoi esperimenti: “Eppure il crederei un libro utile per le famiglie; ma il mondo è buffo: nessuno vorrebbe dare importanza al mangiare e tutti si lagnano di un cattivo desinare o di una indigestione per cibi mal cucinati”. Artusi non fu un buon profeta di se’ stesso e il libro che non avrebbe mai dovuto vedere la luce venne pubblicato un anno più tardi, nel 1891, dalla tipografia L'Arte della Stampa di Salvadore Landi. Prima edizione: 1.000 copie. Un testo di impianto scientifico - frutto di esperienze dirette in cucina - e innovativo per l’epoca. Nella sesta edizione Landi del 1902 è lo stesso Artusi a raccontare le peripezie della sua opera. Nell’introduzione, che intitolò significativamente "Storia di un libro che rassomiglia alla storia della Cenerentola", ricordava il severo giudizio dell’amico vicentino Trevisan che aveva sentenziato: "Questo è un libro che avrà poco esito".

Ma il successo invece arrivò e fu travolgente. L'episodio non scalfì l'amicizia e la stima tra i due. Trevisan, alcuni anni più tardi, nel 1906, informava anzi il gastronomo che un'amica di Mantova, Maria Antonietta Gioppi Cofler, entusiasta del libro di Artusi, ne aveva acquistato una copia per ognuna delle figlie “perchè la pace domestica sta proprio nella cucina e quel trattato la sa dar tutta”. Anzi, la signora si fece una bella risata nel leggere nella prefazione il commento poco lusinghiero di Trevisan e a lui si rivolgeva per colmare le sue curiosità sull'autore.

Il vicentino non mancava di rassicurarla sul fatto che Artusi non era un prete e di raccontarle “tutto il bene ch'io so di Lei, con cui, anzi, un po' avventatamente proferrii quel presagio che, per di Lei fortuna ed onore, riuscì al rovescio”.

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