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La morte del cantante vicentino

Il medico di Rosà: «Michele mi parlò solo di una botta alla gamba»

«Sono stato io a visitare Michele Merlo lo scorso 26 maggio. Aveva un livido esteso sulla coscia. Per la diagnosi mi sono basato anche su quanto riferito dal paziente, che raccontava di aver da poco fatto un trasloco e di aver preso alcune botte. Non ha mai fatto riferimento ad altri sintomi, si stava già curando con antinfiammatori e una pomata che gli erano stati prescritti precedentemente. Al nostro congedo gli avevo raccomandato di farsi rivedere entro 3/5 giorni, ma non l’ho più visto».
A parlare è Pantaleo Vitaliano, medico di base con studio nel centro di medicina di gruppo di Rosà. Il professionista era il medico di famiglia di Michele Merlo, il cantautore rosatese di fama nazionale deceduto lo scorso 6 giugno all’ospedale di Bologna, in seguito a un’emorragia cerebrale, causata dagli effetti di una leucemia fulminante diagnosticata quando ormai era troppo tardi. Dopo la prematura morte del cantante, la procura di Bologna ha aperto un’inchiesta, che è stata chiusa e i cui atti sono stati trasferiti a Vicenza, dove è stata aperta un’indagine per omicidio colposo. Sono stati avviati gli accertamenti sul centro medico rosatese e sull’ospedale di Cittadella, dove Merlo si è rivolto dieci giorni prima del decesso, quando ancora la malattia poteva essere diagnosticata e forse la sua giovane vita poteva essere salvata.
Il padre di Michele, Domenico Merlo, assistito dall’avvocato Marco Dal Ben, nei giorni scorsi, quando ancora non si conosceva il nome del medico che aveva visitato suo figlio alla fine di maggio, aveva chiesto che il professionista si facesse vivo e chiedesse scusa per «non aver dato peso a dei sintomi tanto evidenti, senza nemmeno prescrivere dei banali esami del sangue che avrebbero potuto salvargli la vita».
Lunedì, quando la Regione ha inviato a Rosà e a Cittadella gli ispettori sanitari per fare luce sulla vicenda, lo stesso dottor Vitaliano ha convocato nel suo studio Domenico Merlo e la moglie.
«Sono tutti miei pazienti - ha spiegato il medico - e ho voluto parlare direttamente con i genitori di Michele per spiegare cosa fosse accaduto nei vari passaggi. Michele è venuto in studio a Rosà il 26 maggio, aveva quel livido alla gamba, aveva detto di aver fatto un trasloco e di aver preso una brutta botta. Mi sono fidato delle sue parole, l’ho visitato e gli ho detto di ripresentarsi entro qualche giorno per verificare l’evolversi della situazione. Mi ha richiamato giorni dopo, quando era già in Emilia ed era già stato in un primo pronto soccorso, dove pare gli avessero prescritto degli antibiotici in quanto presentava febbre e mal di gola. Michele mi ha chiesto un consiglio in quanto gli sembrava che quei medicinali non facessero alcun effetto e io gli ho risposto di rivolgersi alla guardia medica, perché era passato del tempo dal nostro incontro e non avevo elementi per dare indicazioni differenti. Poi purtroppo sappiamo cosa è accaduto. Credo di aver fatto bene il mio lavoro, affidandomi anche a quanto dichiarato dal paziente: Michele nel nostro incontro non mi ha parlato di mal di testa, di sangue dal naso. Era venuto solo per quel livido e mi aveva solo parlato del trasloco».
Con ogni probabilità, ora il dottor Vitaliano sarà sentito anche dagli inquirenti berici.

Francesca Cavedagna

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