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LA VIA DELLA SETA SPINGERÀ LA CINA IN CIMA AL MONDO

Il lancio della linea ferroviaria Railway Express China-Europe, dal porto di  Shijiazhuang a Mosca. EPA/A.  PLAVEVSKIIl Congresso del partito comunista cinese: Xi Jinping presidente senza scadenza
Il lancio della linea ferroviaria Railway Express China-Europe, dal porto di Shijiazhuang a Mosca. EPA/A. PLAVEVSKIIl Congresso del partito comunista cinese: Xi Jinping presidente senza scadenza
Il lancio della linea ferroviaria Railway Express China-Europe, dal porto di  Shijiazhuang a Mosca. EPA/A.  PLAVEVSKIIl Congresso del partito comunista cinese: Xi Jinping presidente senza scadenza
Il lancio della linea ferroviaria Railway Express China-Europe, dal porto di Shijiazhuang a Mosca. EPA/A. PLAVEVSKIIl Congresso del partito comunista cinese: Xi Jinping presidente senza scadenza

Sempre più dittatura. Da quando il Congresso del partito comunista ha ratificato all’unanimità la conferma di Xi Jinping alla guida senza limiti di mandato, la Cina può implementare con decisione la fase due del suo sviluppo economico globale: conquistare il resto del mondo. Senza sparare un colpo, per ora, ma comprando i Paesi che ci stanno. E finora una settantina, Italia compresa, hanno firmato i cosiddetti memorandum bilaterali che, secondo i più critici, altro non sono che contratti di cessione di sovranità. Dunque è questa la Belt and Road Iniative? Non è così semplice e non è tutto così negativo, ovviamente. Aprire le porte “fisiche” di questo enorme mercato può diventare una opportunità gigantesca, specie per il Belpaese ansioso di incrementare le esportazioni del Made in Italy. Ma quando una grande potenza come la Cina, destinata a raggiungere e superare il Pil degli Stati Uniti nel 2050, decide di avviare un progetto infrastrutturale globale come la BRI, che in italiano suonerebbe “Una cintura, una via” e che risulta però più immediato se, ispirandosi a Marco Polo, la definiamo come “La nuova Via della Seta”, vuol dire che siamo di fronte a un mutamento epocale della scacchiera geopolitica. Il motivo è semplice: alla Cina di Xi Jinping non sta più bene questo ordine mondiale plasmato dalle potenze democratiche occidentali. Vuole contare di più e per farlo ha deciso di usare il tesoro di risorse finanziarie accumulato nel corso di trent’anni di sviluppo economico eccezionale. Dall’ottobre del 2013, quando Xi Jinping annunciò l’idea all’università Nazarbayev di Astana, in Kazakistan, i passi avanti concreti sono stati tanti significativi. A cominciare dalla costituzione della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), con un capitale di 100 miliardi di dollari, a cui hanno aderito circa cento Stati, tra cui potenze europee del calibro di Germania, Francia, Regno Unito e Italia con l’opposizione degli Stati Uniti che avrebbero preferito l’utilizzo della Banca Mondiale. Dalla bocca da fuoco finanziaria alle ruspe, il passo è stato breve. La strategia cinese si capisce bene guardando all’Africa. Qui Pechino è presente da tempo e ha interessi concreti, considerata la fame atavica di materie prime dell’economia cinese. La cronica carenza di mezzi dei Paesi africani sposata con le offerte di prestiti a tasso praticamente zero per costruire ferrovie, porti e aeroporti ha prodotto un mix efficace. Per la Cina, ovviamente, che ha distribuito cantieri nel continente nero e non si sa bene se e quando questi prestiti saranno rimborsati. In caso contrario, le infrastrutture restano di proprietà cinese che può gestirle come meglio crede. Ma queste cose non succedono solo in Africa. Un esempio tipico delle conseguenze della BRI si può vedere nel porto del Pireo, ad Atene, diventato di fatto cinese. «Oggi il porto del Pireo è al 67 per cento di proprietà di Cosco Shipping - scrive Paolo Bosso su ilPost.it - conglomerato di compagnie marittime e società navalmeccaniche da 130 mila dipendenti direttamente controllato dal governo di Pechino. Apparentemente un unicum in Europa, inconcepibile in Italia, dove i porti sono gestiti da enti pubblici non economici e anche lontano dalla governance portuale anseatica, dove i porti sono società per azioni in cui partecipano lo Stato o il comune. Ma il Pireo non è proprio questo, un ente pubblico cinese, solo che si trova in Grecia? Un avamposto commerciale-strategico, direbbe un analista politico; una colonia, direbbe uno storico». Che la Cina non fosse una San Vincenzo dedita alla beneficenza s’era capito da un pezzo. Resta da capire fino a che punto arrivano i vantaggi, indubbi, di Pechino adottando tale politica di “conquista”, e fino a dove arrivano le opportunità, per esempio, dell’Italia che ha annunciato l’adesione al memorandum, per la gioia di Xi Jinping che non vede l’ora di far sventolare la bandiera cinese nel porto di Trieste, per cominciare. La dittatura cinese ha lasciato una libertà ai propri cittadini: quella di far soldi. Capitalismo libero e urne elettorali sigillate. Si capisce perché gli Stati Uniti vogliano bloccare l’implementazione del 5G da parte di Huawei. E si capisce perché lungo la Via della Seta rischia di schiantarsi l’idea stessa di Occidente. Urgono contromisure. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

MARINO SMIDERLE

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