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L’ARGINE PER FRENARE ERDOGAN

Un comizio di Erdogan a Eskisehir. Il presidente della Turchia è il favorito della vigilia di queste prime elezioni presidenziali indette dopo la modifica del sistema promosso dallo stesso Erdogan. EPA/TURKISH PRESIDENT PRESS OFFICEUna sostenitrice del presidente uscente Erdogan
Un comizio di Erdogan a Eskisehir. Il presidente della Turchia è il favorito della vigilia di queste prime elezioni presidenziali indette dopo la modifica del sistema promosso dallo stesso Erdogan. EPA/TURKISH PRESIDENT PRESS OFFICEUna sostenitrice del presidente uscente Erdogan
Un comizio di Erdogan a Eskisehir. Il presidente della Turchia è il favorito della vigilia di queste prime elezioni presidenziali indette dopo la modifica del sistema promosso dallo stesso Erdogan. EPA/TURKISH PRESIDENT PRESS OFFICEUna sostenitrice del presidente uscente Erdogan
Un comizio di Erdogan a Eskisehir. Il presidente della Turchia è il favorito della vigilia di queste prime elezioni presidenziali indette dopo la modifica del sistema promosso dallo stesso Erdogan. EPA/TURKISH PRESIDENT PRESS OFFICEUna sostenitrice del presidente uscente Erdogan

Recep Tayyip Erdogan sarà incoronato sultano domenica prossima. Tutto lascia pensare che il nuovo sistema presidenziale architettato dal presidente della Turchia, e approvato dalla maggioranza dei cittadini, finirà con l’attribuire formalmente quegli ampi poteri che il diretto interessato si è già preso da tempo. E che sono diventati particolarmente preoccupanti a partire dal luglio del 2016, quando, in seguito al tentativo di colpo di stato attribuito al clan di Fethullah Gulen, Erdogan ha dichiarato lo stato di emergenza e ha iniziato a sbattere in galera chiunque fosse vagamente sospettato di fare parte di questa presunta rete di nemici dello Stato. «In questo periodo - ricorda il New York Times - il governo ha trattenuto, arrestato o licenziato oltre 100 mila persone, con l’accusa vaga di terrorismo, spesso sostenuta solo sulla base di una denuncia di un vicino di casa o di un collega di lavoro». In questo clima si svolgeranno elezioni il cui risultato pare ampiamente scontato, almeno per quel che riguarda l’aspetto presidenziale. Quanto alla futura composizione del parlamento, la coalizione spontanea creata da tutte le formazioni politiche, comprese quelle lontane anni luce tra di loro, in un’ottica anti-Erdogan e anti-Akp, il partito del presidente, potrebbe riuscire nel miracolo di portare a una maggioranza ostile al sultano, che però avrebbe comunque i mezzi per regnare da autocrate, tra i cocci di una democrazia uscita lacerata da anni di scontri violenti tra forze governative e opposizione. Jenny White, docente allo Stockolm University Institute for Turkish studies e autrice del libro “Muslim Nationalism and the New Turks”, ha scritto un editoriale sul New York Times per illustrare quella che secondo la studiosa dovrebbe essere la ricetta per superare questa fase delicatissima per la Turchia: vincere la faziosità che da sempre divide il Paese e i suoi cittadini. L’ultima grande divisione, trasformata in guerra civile, tra il clan di Erdogan e quello di Gulen risale al 2013, quando le strade dei due gruppi si divisero. Quell’anno ci fu una grande inchiesta giudiziaria contro il circolo di Erdogan e i magistrati che se ne occuparono vennero poi considerati strumento di Gulen, leader del movimento Hizmet (il servizio) e residente negli Stati Uniti. Erdogan ha messo fuorilegge l’associazione e i fan di Gulen, ora derubricati sotto l’acronimo Feto, Fethullah terrorist organization. «Perché in Turchia c’è così tanta faziosità tra gruppi e aderenti? - si è chiesta White sul New York Times -. Le istituzioni turche proteggono in primo luogo gli interessi dello stato, non quelli dei cittadini. Per questo motivo la gente cerca protezione e la fornitura di ogni cosa di cui ha bisogno nella famiglia, nella comunità in cui vivono, nell’associazione, fratellanza religiosa o partito politico di cui sono membri. L’appartenenza a questi gruppi fornisce un’identità sociale fondata sulla rivalità rispetto ad altri gruppi che a sua volta dà la stura a una faziosità perniciosa». In tutto questo il potere praticamente assoluto di Erdogan in questo momento, ottenuto col pugno di ferro e con la persecuzione nei confronti di tutti i gruppi che non ne riconoscono l’autorità, ha finito con l’unire le altre fazioni in un unico progetto elettorale che potrebbe portare alla conquista della maggioranza parlamentare. L’unica cosa che hanno in comune i partiti di questa coalizione di opposizione al sultano, comprendente formazioni secolari e kemaliste, islamiste, nazionaliste e curde, è la lotta dura al presidente. Il problema è che ciascuna di queste formazioni ha espresso un candidato presidente, regalando di fatto la vittoria già certa a Erdogan. Ma questa unità elettorale di opposizione, aiutata dal fatto che il 50 per cento dei turchi ha meno di 30 anni e non è esattamente compatto con Erdogan, riuscirà a reggere anche all’indomani delle elezioni? Erdogan è al potere da 16 anni e nell’ultimo periodo la democrazia è stata messa in soffitta. Un argine a questa deriva non guasterebbe. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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