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Vicenza

"Caso Fogazzaro", intervengono i presidi: «Non è oscurantismo, però va mantenuto un minimo di decoro»

Al centro della bufera che ha travolto il Fogazzaro il tema del decoro all’interno delle mura scolastiche
Al centro della bufera che ha travolto il Fogazzaro il tema del decoro all’interno delle mura scolastiche
Al centro della bufera che ha travolto il Fogazzaro il tema del decoro all’interno delle mura scolastiche
Al centro della bufera che ha travolto il Fogazzaro il tema del decoro all’interno delle mura scolastiche

“Abbigliamento consono all’ambiente educativo”. Nei regolamenti d’istituto, ammesso che si parli di dress code, non si trova scritta una riga in più di questa affermazione generica che attraverso il “consono” tacita le coscienze, ma non gli interrogativi. Cosa significa vestirsi in modo appropriato? All’indomani del “caso” Fogazzaro la domanda rimbalza da una scuola all’altra senza che arrivino risposte nette perché il terreno è scivoloso e si rischia di inciampare. Lo fa notare Vincenzo Trabona, dirigente del Boscardin e responsabile provinciale dell’Anp, l’associazione nazionale presidi, spiegando che «nel regolamento d’istituto si fa cenno all’opportunità di vestirsi in modo dignitoso e rispettoso dell’ambiente scolastico, ma tutto si ferma lì. L’alternativa sarebbe una descrizione minuziosa di quello che si può e non si può indossare, ma chi si prende la briga di controllare? Senza contare che più si interviene in modo sanzionatorio più i ragazzi si convincono di combattere una battaglia di libertà che invece con la vera libertà, che è l’esercizio della critica, non ha nulla a che vedere». «Spiace - prosegue Trabona - che si cerchi di far passare il tentativo di mantenere un minimo di decoro a scuola come una campagna di oscurantismo. Servirebbe una battaglia educativa per far comprendere quanto l’adesione acritica a determinati modelli imposti dai social e dalle mode sia il risultato di un esercizio di potere sui giovani da parte dei media commerciali rispetto ai quali l’influenza della scuola è nulla. Ma anche qui ho qualche dubbio sull’efficacia di questi interventi». E aggiunge: «A scuola nei primi anni Settanta le minigonne delle mie compagne mi distraevano permanentemente, questo per dire che il modo in cui ci si veste è una delle modalità con cui ci si pone e si comunica con gli altri. I ragazzi devono capire che a scuola i destinatari dei loro messaggi non sono esclusivamente i compagni, ma un mondo più ampio composta da insegnanti, personale, dirigenti. In quale luogo di lavoro è consentito qualsiasi tipo di abbigliamento?». Sull’ipotesi divise che qualche istituto ha introdotto, il preside del Boscardin non nasconde che risolverebbero più di qualche problema. «La divisa è adottata da tutte le scuole dei paesi anglosassoni - dice - crea riconoscibilità e appartenenza all’istituto che si frequenta e soprattutto abbatte le differenze di classe». 
Paolo Jacolino, dirigente dello scientifico Quadri spiega che nel regolamento del liceo di via Carducci non si fa cenno al vestiario. «Non si sono verificate situazioni che ci hanno costretto ad intervenire - dice - del resto se si regolamenta tutto si rischia di trasformare la scuola in una gazzetta ufficiale». Nemmeno il ministero è mai intervenuto in un ambito che evidentemente lascia alle scuole disciplinare. «Il problema c’è - riprende Jacolino - e forse è amplificato dal fatto che i ragazzi per due anni sui banchi ci sono stati poco causa pandemia. Gli alunni che adesso frequentano i primi anni delle superiori sono quelli che non hanno avuto una scolarizzazione dal punto di vista comportamentale perché l’assenza dalle aule si è prolungata. Questo vuoto educativo non è privo di conseguenze, ma non può giustificare in alcun modo attacchi diretti a chi cerca di salvaguardare garbo e contegno all’interno del proprio istituto». 
Più che le pance scoperte sono le gambe oggetto di qualche tirata d’orecchi nei plessi del primo ciclo. «Lo scorso anno - fa sapere la dirigente del comprensivo 10 di via Colombo - ho inviato una circolare alle famiglie per informarle che a scuola sono graditi i pantaloni lunghi». Il messaggio era diretto ai maschi, che si presentavano in classe con calzoncini molto corti più adatti al mare o alla palestra. «Di pance scoperte non ne vediamo - riprende Maria Chiara Porretti - semmai abbiamo diverse alunne che in classe portano il velo. È alle superiori che di solito spuntano problematiche legate all’abbigliamento, tema scivoloso che rivela anche l’atteggiamento contraddittorio degli studenti che devono decidere da che parte stare: da un lato protestano contro le regole, dall’altro si ergono a moralisti, come per il caso della presunta relazione tra una dirigente e uno studente di un liceo romano». 

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Anna Madron

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