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Vicenza

Sos di medici e infermieri: «Grida, minacce e insulti. Adesso abbiamo paura»

La situazione al San Bortolo dopo il tentato strangolamento di una dottoressa

«Le aggressioni? Quelle verbali da noi ci sono tutti i giorni». A parlare è un operatore del pronto soccorso del San Bortolo. Un reparto di frontiera come questo è il primo, da sempre, a dover subire gesti di violenza più o meno gravi, di tutti i generi, anche perché, soprattutto di sera e di notte, è approdo di tossicodipendenti, magari pure pregiudicati sotto l'effetto di sostanze spesso pesanti, di ubriachi ad alto grado etilico, di soggetti psichiatrici in preda a forte agitazione. E poi qui, in 24 ore passano, quando tutto va bene, non meno di 200 persone, con un assalto che nei momenti di punta, specie al mattino, diventa quasi insostenibile e una promiscuità di codici in cui prevalgono i bianchi che notoriamente devono aspettare di più.

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Pronto soccorso in prima linea

Grida, minacce, insulti sono consuetudine pressoché quotidiana. Più rare, invece, le violenze fisiche ora salite alla ribalta dopo il tentato strangolamento di una giovane dottoressa. Lo scorso anno non ce ne era stato neppure uno. Più frequenti le scene da toro scatenato, e i danni inferti a cose e oggetti di lavoro. Nel 2022 un uomo con un pugno mandò in frantumi la vetrata del triage. «Per lo più la rabbia scatta perché sono costretti a rispettare le precedenze - prosegue l'operatore - non capiscono il discorso della priorità da assegnare alle urgenze. Altre volte arrivano in pronto soccorso già infuriati. È gente apparentemente normale che si trasforma, perde il lume della ragione».

Le infermiere bersaglio principale

Bersaglio principale di atti di insofferenza, contumelie varie, intimidazioni, provocazioni, le infermiere che si alternano allo sportello del triage dove si assegnano i codici all'interno della sala di attesa. La pressione è forte. «Noi - spiega l'operatore - abbiamo fatto dei corsi per imparare come reagire in queste situazioni a rischio. Cerchiamo sempre di mediare, ma non è semplice se si è sotto stress. La preoccupazione è che ci facciano del male. Alcune volte i tossicodipendenti sono davvero ingestibili. C'è paura. Per fortuna in pronto soccorso c'è una guardia privata a vigilare 24 ore su 24, ed è un prezioso deterrente».

La situazione negli altri reparti

Abusi verbali e violenze non sono infrequenti neppure nelle corsie dei reparti psichiatrici, vale a dire le strutture chiuse identificate in modo elettivo per gestire le aggressività e chiamate, quindi, per regola, ad accogliere i pazienti più difficili, spesso alterati, trasferiti dal pronto soccorso, anche se il più delle volte non soffrono di turbe mentali. «In un reparto come il nostro - spiega il neoprimario della psichiatria 1 del San Bortolo, Leonardo Meneghetti - il fatto di trovarci di fronte all'aggressività di un paziente è una possibilità di cui dobbiamo tenere conto, ma sarebbe errato attribuire pregiudizialmente un'etichetta di pericolosità ai malati che entrano in psichiatria. Anzi, gli studi dicono proprio il contrario, e cioè che chi soffre di un qualche disturbo psichico non è più pericoloso. Le motivazioni che sottostanno alla violenza sono diverse. Il problema è diffuso.

Gesti del genere se ne vedono anche all'Urp. La gente non tollera più le attese. In reparto monitoriamo con attenzione qualsiasi comportamento che possa degenerare. Io personalmente non sono stato mai aggredito. Ma fatti del genere li ho visti ed è normale che, quando accadono, le conseguenze emotive non siano indifferenti». In ogni caso ci sono strategie precise di auto-difesa: «Noi - dice il primario - siamo in grado di fronteggiare il più delle volte queste situazioni anche se non esistono metodi scientifici per prevenire. La prima cosa è cercare di entrare in reazione con il paziente, di mettere in atto quella che si definisce la de-escalation, e molto spesso ci va bene anche perché il primo ad aver paura della propria aggressività è il paziente stesso». «Prima di fare terapia - conclude - prima dei farmaci, tentiamo di far collaborare la persona. Il rischio c'è, inutile negarlo. Penso che in questi casi la problematica giudiziaria debba venire prima di quella sanitaria. La protezione la troviamo fra di noi perché ci sono momenti in cui, prima che intervengano le forze dell'ordine, dobbiamo cavarcela da soli. So che la direzione dell'Ulss è disponibile a realizzare un costante confronto con polizia e carabinieri ai quali spetta la prevenzione. E questo è molto positivo». 

Franco Pepe

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