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VENTI DI GUERRA TRA USA E IRAN

Grandi manovre nel Golfo. Dalla portaerei americana “Abraham Lincoln” stanno decollando i velivoli militari per presidiare la regione. La tensione con l’Iran è salita e i venti di guerra stanno soffiando. EPA/US NAVY/MC JEFF SHERMAN L’ayatollah Ali Khamenei, supremo leader religioso dell’Iran
Grandi manovre nel Golfo. Dalla portaerei americana “Abraham Lincoln” stanno decollando i velivoli militari per presidiare la regione. La tensione con l’Iran è salita e i venti di guerra stanno soffiando. EPA/US NAVY/MC JEFF SHERMAN L’ayatollah Ali Khamenei, supremo leader religioso dell’Iran
Grandi manovre nel Golfo. Dalla portaerei americana “Abraham Lincoln” stanno decollando i velivoli militari per presidiare la regione. La tensione con l’Iran è salita e i venti di guerra stanno soffiando. EPA/US NAVY/MC JEFF SHERMAN L’ayatollah Ali Khamenei, supremo leader religioso dell’Iran
Grandi manovre nel Golfo. Dalla portaerei americana “Abraham Lincoln” stanno decollando i velivoli militari per presidiare la regione. La tensione con l’Iran è salita e i venti di guerra stanno soffiando. EPA/US NAVY/MC JEFF SHERMAN L’ayatollah Ali Khamenei, supremo leader religioso dell’Iran

Nessuno dei due ha interesse a far scoppiare la guerra, ma nessuno dei due ha nemmeno interesse a farsi vedere partigiano della pace. E così Donald Trump e gli Stati Uniti hanno rigettato l’Iran nella serie B degli stati canaglia, mentre gli ayatollah dell’Iran hanno ricominciato a nutrirsi della retorica del Grande Satana. Morale della favola, i venti di guerra che soffiano in Medio Oriente hanno già alzato il livello di guardia delle tensioni ma non arriveranno al punto di scatenare un altro conflitto. La mossa di Barack Obama di far rientrare in società, per così dire, l’Iran attraverso la firma di un trattato che prevedeva lo stop al nucleare da parte di Teheran aveva di fatto alterato gli equilibri nello scacchiere mediorientale. In Europa l’iniziativa era stata apprezzata, anche perché togliere le sanzioni e aprire quel mercato rappresentavano iniziative assai gradite per l’asfittica economia del Vecchio Continente. Ma per l’Arabia Saudita e Israele, per motivi diversi storici alleati degli Stati Uniti, quella mossa ha cambiato la vita, rianimando la diplomazia di un avversario mortale. Da una parte, versante Arabia, per la questione della “concorrenza” nel mondo islamico, con Teheran guida del mondo sciita e Riad leader dell’universo sunnita; dall’altra, versante Israele, per la cronica minaccia per la propria esistenza data dall’oggetto sociale della “ditta” degli ayatollah. Morale della favola, l’accelerazione di Trump conclusa con la cancellazione dell’accordo sul nucleare e la conseguente (ri)messa al bando dell’Iran ha finito col far contenti questi strani alleati. E adesso? Difficile prevedere gli sviluppi di una situazione infuocata. Trump ha premuto tre tasti che hanno finito col far detonare di nuovo il sentimento anti-americano presente non solo nei palazzi dei leader religiosi, particolarmente infuriati per aver visto iscritte nel libro nero delle organizzazioni terroristiche le Guardie della rivoluzione islamica, quei pasdaran che certo non si sono distinti per moderazione nei confronti dell’Occidente. Gli altri due tasti schiacciati da Trump hanno però provocato sconcerto e rabbia anche tra la popolazione persiana che non vede di buon occhio i propri leader imbevuti di religione: la politica delle sanzioni economiche, tornata prepotentemente a guidare l’agenda americana imposta al resto del mondo, e lo schieramento delle portaerei nel Golfo di sicuro non fanno scaturire simpatia verso Washington. La strategia americana di favorire una sollevazione popolare, già sperimentata in passato con alterne fortune, rischia di scontrarsi, almeno nell’immediato, con l’orgoglio di un Paese che nella maggioranza delle persone non è certo estremista ma che al comando ha ancora una teocrazia con cui è complicato venire a patti. Sarà guerra? Tutti gli analisti danno una risposta negativa. Lo stesso Trump lo ha dichiarato ufficialmente, autorizzando tra l’altro la Svizzera, che rappresenta gli interessi americani in Iran, a dare il numero diretto del presidente all’ayatollah Khamenei e al presidente Hassan Rohani per favorire il “dialogo”. Dalla parte iraniana c’è la consapevolezza che un conflitto militare diretto contro gli Stati Uniti finirebbe con una sconfitta certa ma, nello stesso tempo, la politica “terrorista” condotta dalle milizie filoiraniane presenti in diversi paesi dell’area mediorientale è già stata intensificata. Teheran è sospettata di aver organizzato due attacchi contro due petroliere saudite e un attacco missilistico nei pressi dell’ambasciata americana a Baghdad. «L’Iran non avvierà alcun conflitto - ha dichiarato il generale Ali Hajilou, comandante delle forze di terra dell’esercito - ma è pronto a dare una risposta devastante a qualsiasi aggressione nemica. I prodotti dei nostri scienziati militari sono molto avanzati, e oggi grazie a loro siamo autosufficienti in campo militare». Anche per questo Trump, che fin dall’inizio del suo mandato si è distinto per un progressivo disimpegno dall’area, ha autorizzato l’invio di 1.500 militari in Medio Oriente. Sarà una lunga estate calda. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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