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LA GUERRA CHE SPACCA LA NATO

I militanti del Free Syrian Army, sostenuti dalla Turchia, mentre si avviano a varcare il confine e iniziare l’attacco ai curdi in territorio siriano. La situazione è esplosiva e gli americani sono in una posizione delicata. DEPO PHOTOS VIA AP/FURKAN ARSLANOGLUUna manifestante curda sfila per  Atene. EPA/ALEXANDROS BELTES
I militanti del Free Syrian Army, sostenuti dalla Turchia, mentre si avviano a varcare il confine e iniziare l’attacco ai curdi in territorio siriano. La situazione è esplosiva e gli americani sono in una posizione delicata. DEPO PHOTOS VIA AP/FURKAN ARSLANOGLUUna manifestante curda sfila per Atene. EPA/ALEXANDROS BELTES
I militanti del Free Syrian Army, sostenuti dalla Turchia, mentre si avviano a varcare il confine e iniziare l’attacco ai curdi in territorio siriano. La situazione è esplosiva e gli americani sono in una posizione delicata. DEPO PHOTOS VIA AP/FURKAN ARSLANOGLUUna manifestante curda sfila per  Atene. EPA/ALEXANDROS BELTES
I militanti del Free Syrian Army, sostenuti dalla Turchia, mentre si avviano a varcare il confine e iniziare l’attacco ai curdi in territorio siriano. La situazione è esplosiva e gli americani sono in una posizione delicata. DEPO PHOTOS VIA AP/FURKAN ARSLANOGLUUna manifestante curda sfila per Atene. EPA/ALEXANDROS BELTES

Il ginepraio della Siria è sempre più intricato. La Turchia di Erdogan ha aperto un altro, esplosivo fronte attorno alla città di Afrin, 600 mila abitanti nel suo complesso, in mano ai curdi che Ankara ritiene legati a filo doppio con il Pkk, formazione combattuta da trent’anni e considerata imbottita di terroristi. Il sultano l’ha chiamata, chissà perché, operazione “Ramo d’ulivo”. Ma di pacifico questa offensiva ha assai poco. «Settantadue aerei da bombardamento il 20 gennaio hanno oscurato i cieli del nord ovest della Siria - scrive The Economist - scaricando ordigni sull’enclave curda di Afrin, mentre migliaia di truppe turche si stavano ammassando lungo il confine, raggiunte da bus carichi di ribelli siriani, ostili al dittatore Assad e sostenuti da Ankara. Così la Turchia ha aperto un nuovo fronte che rischia seriamente di avere serie ripercussioni anche a Washington e a Mosca». Difficile orientarsi in questo continuo sovrapporsi di guerre e di schieramenti. Di sicuro il primo aspetto che balza agli occhi è il rischio crac all’interno della Nato. Da quando Erdogan ha preso una deriva islamista e antidemocratica, incarcerando giornalisti e oppositori e mettendo a ferro e fuoco le regioni a maggioranza curda, l’appartenenza all’alleanza atlantica della Turchia è diventata via via più complicata da sostenere. Non va dimenticato che Ankara ha chiuso un occhio davanti all’avanzata dello Stato islamico, permettendo che dal confine turco-siriano passassero gli aspiranti guerrieri del Califfo provenienti dall’Europa e dalle ex repubbliche sovietiche. L’obiettivo era quello di dare la spallata decisiva al dittatore Assad, fastidioso e impresentabile concorrente del sultano nell’area. Anche Washington ha puntato forte sulla caduta di Assad, ma l’ha fatto avendo come obiettivo anche quello di sradicare l’Isis: chi meglio degli storici alleati, e formidabili guerriglieri, dei curdi poteva adempiere a questa duplice missione? Ecco il punto che preoccupa la Nato: da che parte si schiererà adesso Donald Trump? Occorre ricordare che negli ultimi tempi, per esempio in occasione di quel referendum sull’indipendenza un po’ incautamente promosso dai curdi nel nord dell’Iraq, Washington ha iniziato a prendere le distanze dagli storici alleati. Ma quando si tratta di combattere l’estremismo islamico in Iraq e in Siria, oppure quando si tratta di abbattere una dittatura odiosa come quella di Assad (e un tempo quella di Saddam), il primo campanello a cui vanno a suonare gli Stati Uniti è quello dei curdi. Stavolta però la scelta è dirompente, anche oltre i confini del Medio Oriente. Se Trump conferma l’appoggio ai curdi, stavolta assediati ad Afrin, la conseguenza inevitabile è quella di schierarsi contro un alleato della Nato, con ripercussioni difficilmente immaginabili. Finora gli americani sono sempre stati molto attenti a non spingersi troppo in là nelle critiche alla Turchia di Erdogan, ma con Trump alla Casa Bianca non si sa bene cosa aspettarsi. Fonti americane dicono che il 25 gennaio ci sarebbe stata una telefonata piuttosto franca tra i due leader, nel corso della quale Trump avrebbe espresso al collega turco tutta la sua preoccupazione per l’attacco di Ankara ad Afrin. Dall’altra parte fonti vicine a Erdogan confermano la telefonata ma negano che il leader Usa abbia espresso preoccupazione. Insomma, si cammina sulle uova, anche se Erdogan quando si occupa di curdi non ammette interferenze. Per lui il Pkk è una formazione terrorista e vede come ii fumo negli occhi ogni possibile spiraglio di creazione di stato indipendente per questa nazione sparsa tra Iraq, Turchia, Iran e Iraq. In tutto questo Vladimir Putin guadagna ancora spazio e potere nel panorama geopolitico. Non è un caso che Assad sia ancora il suo posto: il “merito” è proprio della posizione chiara assunta dalla Russia. Anche Putin, insieme ad Assad, dovrà però decidere cosa fare davanti a una Turchia che sta effettuando una operazione militare fuori dai propri confini. Dal ginepraio non si esce. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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