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IL CAVALLO DI TROIA DELLA CINA

Il chip del microprocessore prodotto dal colosso cinese  delle telecomunicazioni  Huawei.  Il gruppo cinese è nell’occhio del ciclone: per gli Usa minaccia la sicurezza dell’Occidente. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YUIl logo della società in un negozio a Pechino. ANSA/AP/MARK SCHIEFELBEIN
Il chip del microprocessore prodotto dal colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Il gruppo cinese è nell’occhio del ciclone: per gli Usa minaccia la sicurezza dell’Occidente. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YUIl logo della società in un negozio a Pechino. ANSA/AP/MARK SCHIEFELBEIN
Il chip del microprocessore prodotto dal colosso cinese  delle telecomunicazioni  Huawei.  Il gruppo cinese è nell’occhio del ciclone: per gli Usa minaccia la sicurezza dell’Occidente. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YUIl logo della società in un negozio a Pechino. ANSA/AP/MARK SCHIEFELBEIN
Il chip del microprocessore prodotto dal colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Il gruppo cinese è nell’occhio del ciclone: per gli Usa minaccia la sicurezza dell’Occidente. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YUIl logo della società in un negozio a Pechino. ANSA/AP/MARK SCHIEFELBEIN

La Cina sta asfaltando il mondo. In senso letterale, perché il progetto ambizioso della Via della Seta prevede collegamenti stradali e ferroviari studiati per avvicinare sensibilmente Pechino ai centri vitali del pianeta. E in senso metaforico, perché l’altro collegamento, forse ancora più importante, passa per la tecnologia 5G con cui il gigante delle comunicazioni Huawei vuole colonizzare la rete globale. Per tutta risposta gli Stati Uniti di Donald Trump nel dicembre scorso hanno fatto arrestare in Canada, con tanto di richiesta di estradizione, Meng Wanzhou, figlia del fondatore della compagnia cinese, con l’accusa di aver violato il bando commerciale sull’Iran. Da quel momento la guerra è stata esplicitata dalla Casa Bianca che ha lanciato l’avvertimento internazionale agli alleati: «Non lasciate entrate in casa vostra il cavallo di Troia con cui la Cina potrebbe spiare ogni movimento». Oltre che per spiare, più di qualcuno teme che la sottoscrizione di un accordo per acquisire l’infrastruttura telematica di Huawei si trasformi nella consegna a una potenza comunista, con ambizioni sempre più chiare di voler espandere questo modello di capitalismo dittatoriale, dell’interruttore in grado di spegnere un Paese intero. Non è più solo questione di spionaggio (anche se il tema resta centrale): sul 5G viaggerà tutto, dalle centrali elettriche alla domotica, alle banche. Quanto basta, appunto, per gestire, ed eventualmente paralizzare, un Paese. Sospetti e accuse che l’amministratore delegato di Huawei Richard Yu respinge in toto. In un’economia di mercato dovrebbe contare la qualità dei servizi e i prezzi offerti. Bene, sul 5G Huawei è avanti e il prezzo è concorrenziale: quanto basta per convincere anche il Regno Unito, nonostante il bando imposto da Trump, ad aprire le porte all’impresa cinese. Il 24 aprile il Daily Telegraph ha anticipato la decisione presa dal National Security Council e il primo risultato di questo provvedimento controverso, che bene non ha fatto a Theresa May già malandata per via della Brexit, è stato quello di indurre la premier a dare ordine di individuare la talpa che aveva favorito la fuga di notizie. Morale della favola, il ministro della Difesa, Gavin Williamson, è stato cacciato, nonostante lui avesse giurato («sulla testa dei miei figli») di non essere responsabile della diffusione di notizie riservate. Proprio durante questi giorni di passione Vodafone ha rivelato di aver riscontrato, tra il 2011 e il 2012, vulnerabilità negli apparati forniti da Huawei ma di aver provveduto a sistemare la questione. È chiaro però che le paure degli americani non sono così peregrine. Al di là delle questioni tecniche complesse, Trump ha avvertito che non condividerà più le informazioni con quei paesi alleati del “Five eyes” (i 5 anglosassoni che sono il cuore dell’intelligence comune, Regno Unito, Usa, Australia, Nuova Zelanda e Canada) che dovessero aderire al 5G made in China. Per questo la scelta di May, sia pure con tutte le precauzioni del caso, di scegliere Huawei «mette in discussione - come ha dichiarato al Foglio il conservatore Tom Tugenfhat, presidente della commissione Esteri della Camera dei Comuni - settant’anni di buoni rapporti con l’intelligence occidentale perché rischiamo di allevare il Dragone». Australia e Nuova Zelanda, per dire, hanno già detto no alla Cina, mentre il Canada retto dal liberal Justin Trudeau ci sta ancora pensando. In gioco c’è più di quello che l’Occidente voglia ammettere. Per cominciare Huawei non è certo una società come le altre: oltre a fatturate 105 miliardi di dollari in 170 paesi, ci sono forti dubbi circa la sua effettiva compagine sociale. Gli accusatori di questa opacità sostengono che risponda direttamente al partito comunista. E comunque, quand’anche fosse una private company, esiste una legge, per quanto ufficialmente mai utilizzata, che impone alle società che operano all’estero di cooperare con il governo nella raccolta di informazioni. L’Italia si è fatta asfaltare la Via della Seta con gioia ma il conto potrebbe essere più salato del previsto. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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