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BREXIT SPACCA I CONSERVATORI

Il comico inglese Simon Brodkin mentre interrompe la premier Theresa May durante il suo discorso al congresso del partito conservatore a Manchester. La performance è stata disastrosa e il partito ora è spaccato. PETER BYRNE/PA WIRE LAPRESSEBoris Johnson a Manchester è parso come l’alternativa a May
Il comico inglese Simon Brodkin mentre interrompe la premier Theresa May durante il suo discorso al congresso del partito conservatore a Manchester. La performance è stata disastrosa e il partito ora è spaccato. PETER BYRNE/PA WIRE LAPRESSEBoris Johnson a Manchester è parso come l’alternativa a May
Il comico inglese Simon Brodkin mentre interrompe la premier Theresa May durante il suo discorso al congresso del partito conservatore a Manchester. La performance è stata disastrosa e il partito ora è spaccato. PETER BYRNE/PA WIRE LAPRESSEBoris Johnson a Manchester è parso come l’alternativa a May
Il comico inglese Simon Brodkin mentre interrompe la premier Theresa May durante il suo discorso al congresso del partito conservatore a Manchester. La performance è stata disastrosa e il partito ora è spaccato. PETER BYRNE/PA WIRE LAPRESSEBoris Johnson a Manchester è parso come l’alternativa a May

L’effetto Brexit sta spazzando via il partito conservatore britannico. Che, dopo aver vinto per pochi voti le elezioni incautamente convocate da Theresa May a giugno, adesso si trova ostaggio da un lato del resuscitato e popolare Jeremy Corbyn e dall’altro delle lacerazioni violente e non più rimarginabili all’interno dello stesso partito Tory. Morale della favola, il voto alla Brexit che sembrava dover riaffermare l’orgoglio britannico si è trasformato in un ordigno nucleare che potrebbe disintegrare gli equilibri politici del Regno Unito.

IL DECLINO. David Cameron, il primo ministro che passerà alla storia per aver avuto la brillante idea di chiedere al popolo se voleva restare o no nell’Unione europea, fa la figura del politico che aveva in tasca il biglietto vincente della lotteria del consenso ma che poi ha deciso di gettarlo alle ortiche. I conservatori sono geneticamente dotati di geni portati all’autodistruzione. Se sono riusciti ad abbattere con manovre di palazzo anche un monumento nazionale come Margaret Thatcher alla fine degli anni 80, dopo il decennio più luminoso culminato con il recupero definitivo di una posizione di rilievo nel panorama internazionale da parte della Gran Bretagna, figurarsi cosa capiterà adesso a Theresa May, che nel proprio governo ha assegnato la carica di ministro degli Esteri all’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, forse il personaggio con la personalità più spiccata nel panorama conservatore. Così spiccata da dare l’assalto alla residenza numero 10 di Downing Street.

POLITICA E BREXIT. In realtà è stata la stessa May a scegliere la strada più sbagliata per iniziare la sua stagione da leader di governo e di partito. Sbagliata per due grandi ordini di motivi. Per prima cosa si è mostrata tentennante, indecisa e, agli occhi dei britannici, ostaggio di Bruxelles nella trattativa per l’uscita dall’Ue. Non va dimenticato che prima del referendum lei era con Cameron sul fronte dei “Remain”, mentre Johnson, col suo modo scanzonato ma intellettualmente vibrante, capeggiava con decisione il fronte degli “Exit”. Nel momento in cui l’opinione pubblica percepisce, a torto o a ragione, che May non sa battere i pugni sul tavolo in Europa per ottenere quello che spetterebbe al Regno Unito, la conclusione è immediata: non è adatta a guidare il Paese. Ma la seconda cosa, forse la più importante per i conservatori doc, è la sua politica economica troppo spostata a sinistra inserita nel manifesto programmatico dei conservatori. Al posto della linea liberista e liberale, si trovano spesso tendenze stataliste in alcuni casi ricalcate dal programma laburista di Miliband prima e di Corbyn adesso. Tipo il tetto ai prezzi energetici o il focus sul sociale che suonano popolari più tra gli elettori Labour che tra i Tory. Di qui la tentazione del golpe interno.

L’ATTACCO. L’ex presidente dei Conservatori, Grant Shapps, ha raccolto attorno a sé una trentina di deputati col mal di pancia e ha avviato una sfida ufficiale alla leadership. Johnson si è sfilato e a parole riafferma l’unità del partito. Ma il suo discorso alla conferenza annuale dei Conservatori ha sottolineato, in chiave Brexit, che è tempo «di lasciar ruggire il leone». Sottinteso: quella che c’è adesso è invece più propensa a farlo belare. Certo, la performance di May a Manchester è stata imbarazzante, forse la peggiore di cui un leader conservatore si sia mai reso protagonista. Dal comico Simon Brodkin che le porge il modello P45, una sorta di lettera di licenziamento con stampate le motivazioni («Né forte, né stabile») alla tosse che non le permette di parlare, fino alle proposte troppo a sinistra: insomma, Theresa May pareva alla frutta. E, oltre a Johnson, anche la ministra dell’Interno, Amber Rudd, sarebbe sul punto di gettare il guanto di sfida per la posizione di leader del partito. L’interessata dribbla con signorilità la sfida: «Nel mio governo - ha detto - non amo circondarmi di yes man». Il rischio concreto, però, è che adesso tutti le dicano di no.

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