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Lo studio dell'Iss

60mila avvelenati
dall'acqua
nel vicentino

I pozzi sono in questa fase "sorvegliati speciali". FOTO MASSIGNAN
I pozzi sono in questa fase "sorvegliati speciali". FOTO MASSIGNAN
I pozzi sono in questa fase "sorvegliati speciali". FOTO MASSIGNAN
I pozzi sono in questa fase "sorvegliati speciali". FOTO MASSIGNAN

VENEZIA. È il tempo delle prime risposte. L’Istituto superiore di sanità, Iss, ha reso noto l’esito del biomonitoraggio realizzato negli scorsi mesi a seguito dell’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche, Pfas. Una sola la domanda: quell’acqua che, per anni e in modo inconsapevole, moltissimi vicentini hanno bevuto può rappresentare un rischio per la salute? Risposta: «Sì».

 

Il superamento. Questo esito riguarda 250 mila persone in Veneto di cui, in modo importante, 60 mila. Queste ultime sono concentrate nel Vicentino:Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego. I dati sono paragonabili, anche se fortunatamente in entità inferiori, a casi di inquinamento che hanno fatto il giro del mondo, come quello scoperto da Erin Brockovich. La sostanza, utilizzata nei prodotti chimici di lavorazione industriale, è praticamente la stessa. Apparentemente gli esiti sono meno impattanti. Ma per avere certezze ci vorranno almeno dieci anni. Al momento si sa che l’inquinamento ha prodotto degli effetti sull’uomo perché le sostanze si sono accumulate nel sangue. Conseguenze? Per i tumori il rischio è di tipo “2B”, cioè “possibile”. Ne sarebbero esclusi al momento con certezza solo due tipi, ma solo a luglio le risposte definitive. La presenza di tali sostanze aprirebbe però le porte a malattie croniche o degenerative alla tiroide, fegato e reni. Per capirne la reale incidenza si avvierà uno studio epidemiologico. La Regione sta lavorando alla definizione di tutte le azioni possibili per seguire concretamente le persone interessate all’inquinamento (articoli a lato).

 

Lo studio. Ieri a Venezia Luca Coletto, assessore regionale alla sanità, ha riunito i massimi esperti «per spiegare, nella massima trasparenza, i risultati e le prossime mosse». Erano presenti: Domenico Mantoan, direttore generale della sanità veneta, Francesca Russo del Settore promozione e sviluppo igiene e sanità pubblica della Regione, Loredana Musmeci dell’Iss, Istituto superiore di sanità, Marco Martuzzi dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, Massimo Rugge, direttore del Registro tumori del Veneto e Alessandro Benassi, commissario dell’Arpav. È lo stesso Coletto che esordisce: «I veneti sono la vera parte lesa di questo inquinamento. Fin dal primo momento la Regione si è attivata per eliminare gli inquinanti dai rubinetti: era il settembre 2013. Questo caso farà letteratura». Vuoi perché l’inquinamento è di notevoli entità e vuoi perché, alla fine, si tratta di sostanze per le quali non erano (e in parte non sono neppure oggi) fissati i limiti per mancanza di una legge nazionale. Tutto è nato da una ricerca, commissionata tramite Cnr alla Regione per monitorare eventuali presenze di sostanze chimiche industriali pericolose e tossiche. I valori, che fecero scalpore, era il luglio 2013, fecero scattare azioni di contenimento e controlli (filtri negli acquedotti, analisi nei pozzi, sugli alimenti e sulle persone) che hanno portato alla relazione di ieri che segna la svolta.

 

Esposti e grandi esposti. Musmeci ha sintetizzato l’analisi dell’Iss: «Obiettivo della ricerca è verificare la presenza eventuale nel sangue di 12 biomarcatori appartenenti alla famiglia dei Pfas. In particolare ci si è soffermati su due che sono i più tossici e i più resistenti: Pfoa e Pfos. Lostudiohaesaminato 507 persone:la metà residenti nella zona contaminata e l’altra no. I risultati confermano che tali sostanze sono presenti in concentrazioni diverse: il gruppo guida, quello residente in zone non contaminate, era a quota 1-1,5 nanogrammo/ grammo. Il gruppo degli esposti è stato diviso a sua volta in due: quelli esposti (14ng/g) e i super esposti (70 ng/g) di media, ma in realtà esistono casi con concentrazioni ben maggiori (vedi articolo a lato). «In base a queste analisi c’è la conferma che la principale fonte di inquinamento dei soggetti è l’acqua», precisa Musmeci. Gli esiti delle analisi saranno inviate oggi alle persone che hanno partecipato al biomonitoraggio. CRI.GIA.

 

Mercoledì 20 aprile

 

Per nove delle dodici sostanze analizzate, le concentrazioni nel siero dei residenti nei Comuni a esposizione incrementale sono risultate significamente superiori a quelle dei residenti nelle aree di controllo. Sono i primi risultati derivanti dallo studio di biomonitoraggio che la Regione Veneto ha realizzato con l’Istituto Superiore di Sanità, relativamente all’inquinamento da Pfas delle falde acquifere registrato nel vicentino a causa dello sversamento di sostanze da parte della Miteni

Per dieci sostanze - secondo gli esami - si osservano inoltre nella Ulss 5 concentrazioni significativamente più elevate che nella Ulss 6.

 

I dati sono stati illustrati questa mattina, in una conferenza stampa, a Venezia, dal direttore del Dipartimento ambiente e prevenzione primaria dell’Iss, Loredana Musmeci, che ha effettuato lo studio dei campioni (507 tra esposti e non esposti alla contaminazione delle acque), arrivando alle conclusioni lo scorso 13 aprile (è invece ancora in corso la raccolta dei 120 campioni per lo studio su agricoltori e allevatori). «La dose interna così come evidenziata dallo studio di biomonitoraggio - ha spiegato Musmeci - è determinata essenzialmente dall’esposizione esterna e non dalle caratteristiche genetiche individuali studiate. Il nostro studio conferma dunque il dato di letteratura: la via prevalente per l’esposizione a queste sostanze sono le acque».

 

Lo studio relativo al monitoraggio sierologico ha avuto l’obiettivo di caratterizzare l’esposizione a sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) in soggetti residenti in aree interessate da presumibile esposizione incrementale a questi inquinanti, rispetto a gruppi di popolazione di controllo residente in altre aree geografiche del Veneto. 

Sono stati selezionati i seguenti comuni: per l’area a maggiore impatto, Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego; per l’area di controllo: Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana, Treviso.

Lo studio ha previsto la determinazione delle concentrazioni nel siero umano raccolto da un campione di 507 persone di varie sostanze appartenenti alla famiglia dei Pfas, identificati in base a rilevanza espositiva e tossicologica.

Il disegno dello studio prevedeva la partecipazione di soggetti reclutati tra la popolazione generale dei Comuni selezionati; di operatori e residenti di aziende zootecniche.

Lo studio sugli operatori e residenti di aziende zootecniche è tuttora in corso. Ad oggi sono stati prelevati e analizzati 22 campioni di siero dei 120 previsti. I risultati complessivi saranno resi noti non appena l’Iss avrà concluso il lavoro di analisi.

I risultati preliminari sotto forma di analisi statistiche aggregate presentati oggi confermano la presenza di tali sostanze nell’organismo dei soggetti dell’area di maggiore esposizione, identificata con l’Ulss 5 di Arzignano e, in misura minore, con l’Ulss 6 di Vicenza, in quantità statisticamente significative rispetto all’area di controllo (parte dell’Ulss 6 di Vicenza non interessata, Ulss 8 di Asolo, Ulss 9 di Treviso, Ulss 15 Alta padovana e Ulss 22 di Bussolengo). 

 

A seguito di questi risultati, la Sanità regionale attuerà tutte le azioni che si renderanno necessarie, oltre a quelle già intraprese, per rafforzare la sorveglianza sanitaria e la presa in carico della popolazione esposta secondo il modello della gradazione del rischio.

 

«Tengo a sottolineare - ha commentato l'assessore alla sanità Luca Coletto - che in questa vicenda ci sono delle parti lese: la Regione, i Comuni, le aziende acquedottistiche, i cittadini residenti nelle aree interessate da un inquinamento le cui responsabilità non sta a me ma alla magistratura indicare. Per parte mia dico che stiamo approfondendo l’intera questione sul piano giuridico per verificare ogni possibilità di ottenere il risarcimento che ritengo dovuto a tutti coloro, istituzioni, enti, singoli cittadini, sui quali pesano già ingenti costi, che non sono ancora finiti».

«Sin dal 2013 quando la questione è emersa – ha aggiunto – non abbiamo lesinato impegno e risorse, che continueremo a impiegare, a maggior ragione da oggi, a fronte degli importanti punti fermi emersi dal prezioso lavoro dell’Iss, dall’affiancamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’impegno e dalle responsabilità che hanno avuto il coraggio di assumersi i tecnici regionali della sanità e dell’ambiente in un quadro molto poco chiaro dal punto di vista normativo, dal lavoro quotidiano sul territorio delle Ullss coinvolte. A tutti va il mio sincero ringraziamento, per quanto fatto e per quanto si farà in futuro». 

 

 

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