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Pfas

Acqua e veleni
«A rischio
150 aziende»

di Lorenzo Parolin
Il settore agricolo è quello che subisce le ripercussioni dirette delle ordinanze sui pozzi
Il settore agricolo è quello che subisce le ripercussioni dirette delle ordinanze sui pozzi
Il settore agricolo è quello che subisce le ripercussioni dirette delle ordinanze sui pozzi
Il settore agricolo è quello che subisce le ripercussioni dirette delle ordinanze sui pozzi

L’inquinamento da Pfas mette in allarme un intero settore economico: quello agricolo. Accanto ai 60 mila residenti nelle aree più colpite dalla presenza nelle falde di molecole perfluoro-alchiliche, ora i timori coinvolgono allevatori e coltivatori. Il rischio è che l’inquinamento sul quale sta indagando la procura (31 i Comuni coinvolti, con la concentrazione più elevata a Lonigo, Sarego, Brendola, Montecchio Maggiore, Altavilla, Creazzo e Sovizzo) metta in ginocchio il settore agroalimentare. «I numeri sono nero su bianco - commenta il presidente regionale della Coldiretti, Martino Cerantola - e nella zona che ha fatto registrare le concentrazioni maggiori di Pfas ci sono almeno 150 aziende, per oltre 1.200 capi di bestiame». Capi che, con la bella stagione, consumano ognuno dai 60 ai 110 litri d’acqua al giorno.

«E con le ordinanze che hanno chiuso i pozzi - continua Cerantola - come facciamo? I provvedimenti dicono solo che l’acqua non si può utilizzare, ma soluzioni non ne propongono. Per le aziende collegate all’acquedotto si può pensare a un allacciamento alla rete idrica ma per le altre?». In sostanza, chi potrà, pagando, si allaccerà ai rubinetti. Per gli altri si prospetta una teoria di autobotti che faranno la spola finché la situazione non tornerà sotto il livello di guardia.

«Tecnicamente non è troppo complicato recuperare l’acqua necessaria - precisa Cerantola -, il problema sono i costi. Dopo un inverno mite in cui la neve è arrivata solo all’ultimo atto, si prospetta un’estate siccitosa e in questo momento non possiamo sapere da quali riserve si andrà a recuperare l’acqua che ci serve. È chiaro che più ci si allontana dalle aree contaminate, più bisognerà spendere. Per ora, nessuna previsione: sappiamo che se non pioverà, dovremo andare lontano». Altra questione calda, la spesa necessaria, da adesso in poi, per le analisi dei pozzi. «Da quanto ci risulta - continua Cerantola - nella zona contaminata bisognerà provvedere a controlli semestrali. Oggi, ogni intervento costa dai 90 ai 150 euro: per ogni azienda si tratterebbe di una spesa aggiuntiva di 200-300 euro l’anno. È una cifra che di questi tempi non ci possiamo permettere, e in ogni caso è una questione di principio. Come minimo, dovrebbe arrivare qualche aiuto dalla mano pubblica».

Su questo fronte, il Comune di Vicenza ha appena chiuso una convenzione per analisi a prezzi agevolati a una cifra inferiore ai 100 euro. Per gli associati della Coldiretti sarebbe già qualcosa: «In questa fase “calmierare” i costi potrebbe essere un segnale importante. È chiaro però che gli agricoltori non possono pagare per colpe non loro. Oltre il danno vogliamo anche la classica beffa? Anche di questo aspetto parleremo all’incontro con la Regione e chiederemo di fare in fretta. Sfortuna ha voluto che l’inquinamento da Pfas sia stato scoperto nel periodo mano favorevole dell’anno».

Sullo sfondo, per altro, resta l’incognita del futuro dei bovini contaminati. Almeno milleduecento animali che negli ultimi anni si sono abbeverati alle fonti “arricchite” di sostanze perfluoro-alchiliche. La durata relativamente breve della vita di un bovino dovrebbe impedire concentrazioni record di Pfas nelle carni, ma su questo fronte i dubbi si moltiplicano e anche le istituzioni scientifiche, per primi i laboratori di zooprofilassi, tacciono, colti di sorpresa da una vicenda che solo ora rivela tutta la sua portata. «Milleduecento capi - rileva il presidente Cerantola - moltiplicati per un valore medio superiore ai 1.500 euro ad animale: si sfiorano i due milioni di euro». E sul futuro di questo capitale che le aziende hanno accumulato un passo alla volta, Cerantola fa cadere il silenzio. «Non so che cosa ne sarà - conclude - e ipotesi non voglio farne, anche per non creare allarmi su questioni che sono in mano ai laboratori di analisi. Me lo diranno martedì a Venezia. Forse».

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