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L'allarme

Epatite acuta, colpita anche una bimba di dieci anni in Veneto

È arrivata venerdì al Pronto soccorso pediatrico di Borgo Trento «perché stava male». Colorito itterico, mal di pancia, diarrea, nausea, vomito. «Presentava i classici sintomi di una infiammazione epatica», spiegano in Azienda Ospedaliera, «confermata poi dagli esami del sangue: la piccola aveva, insieme ad altri valori sballati, soprattutto le transaminasi epatiche alte, indice evidente di danni al fegato». La bambina veronese di 10 anni, ricoverata da tre giorni nella Pediatria dell’Ospedale della Donna e del Bambino (dopo i due casi degli adolescenti curati in gennaio con lo stesso quadro clinico risoltosi poi con guarigione completa) è entrata nel monitoraggio richiesto dall’Oms e avviato il 14 Aprile dal nostro Ministero della Salute: ha, insieme ad altri tre baby-pazienti italiani, «l’epatite acuta pediatrica di origine sconosciuta».

È arrivata così ufficialmente anche in Veneto, e a Verona nello specifico, la terribile patologia che ha colpito oltre un centinaio di bimbi nel mondo, causata non si sa ancora da cosa, che nelle forme peggiori attacca il fegato rendendo necessario il trapianto. Al momento, come spiega il documento inviato da Roma in Regione con i dati aggiornati a tre giorni fa, sono 8 i casi sottoposti a trapianto nel Regno Unito (su 108 è quasi il 10 per cento), 1 in Italia (su 4), 1 in Spagna (su 13), 3 nei Paesi Bassi (su 4 totali). Tra i virologi e i pediatri di mezzo mondo c’è preoccupazione soprattutto per il trend in aumento dei numeri, che sono esplosi da gennaio, tanto che il dottor Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione Sanitaria del Governo, ha richiesto alle Regioni di «allertare le Ulss e le aziende ospedaliere per avviare un monitoraggio nazionale, segnalando ogni situazione, oltre che confermata, anche solo sospetta». E la piccola di Verona c’è dentro «di diritto»: ha una epatite acuta la cui causa è senza nome, la stessa che dall’Inghilterra è arrivata in America passando per l’Europa.

«Sta migliorando», dichiara il professor Franchi, «i suoi enzimi epatici stanno scendendo dai valori di allerta che aveva quando è arrivata, anche le condizioni generali sono ora discrete ed è questo l’aspetto più importante. Si tratta adesso di capire cosa ha provocato questa sofferenza importante al fegato, proprio per curarla e prevenirla in futuro: in pediatria capitano le epatiti, ma sono rare. Più di cento diagnosi di malattia acuta in pochi mesi è fuori target. Di fronte alla causa sconosciuta e la casistica anomala, poi, è scattato l’alert dell’Oms con conseguente survey (sondaggio). Si è propensi a pensare ad una forma infettiva: in alcuni piccoli si è trovato ad esempio che avevano gli anticorpi a Sars Cov-2, in altri è stato riscontrato l’Adenovirus, si cerca insomma nell’ambito dei virus, e purtroppo sappiamo bene, dopo la lezione del Covid 19, di cosa sono capaci. Riguardo alla creatura che abbiamo in reparto», ripete Franchi, «posso sbilanciarmi ad ipotizzare che in realtà, in base agli esami fin qui fatti, non sia una epatite atipica la sua, alcuni indizi portano a ipotizzare che, senza saperlo, il suo fegato soffrisse già da un po’, che ci sia insomma qualcosa di cronico alla base, ma fermiamoci qui, è inutile perdersi in tecnicismi e avanzare risposte al momento non supportate da evidenze scientifiche».

E conclude: «L’epatite è una brutta bestia, è una malattia complessa, se poi colpisce i bambini è naturale il tam-tam che genera allarme e tanta paura. Mi sento di dire però ai genitori con figli sotto i 10 anni di non farsi prendere dal panico ma, se proprio “sentono“ che c’è qualcosa di non chiaro, in presenza di febbre, di colorito giallognolo e di problemi gastro-intestinali, vengano al pronto soccorso. L’istinto di mamma, di solito, sbaglia raramente».

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Camilla Ferro

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