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Il monitoraggio

Pfas negli alimenti, le mamme alla Regione: «Rischi da monitorare»

Le Mamme no pfas e Greenpace hanno diffuso ieri i dati relativi alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) negli alimenti di origine vegetale e animale coltivati in “zona rossa”, l’area del Veneto più contaminata da queste sostanze chimiche tra Vicenza, Verona e Padova. Nel diffondere i dati, che sono relativi a un monitoraggio effettuato dalla Regione nel 2016-17, le due associazioni gridano all’immobilismo dell’istituzione negli anni seguenti.

Si tratta di dati georeferenziati e mai diffusi – precisano le Mamme no pfas e Greenpace - in forma integrale dalle autorità competenti, «ottenuti dopo aver sostenuto una lunga battaglia legale nei confronti della Regione, che per anni ha negato l’accesso ai dati.

Dalle elaborazioni emergono molte criticità: numerosi alimenti risultano contaminati non solo per la presenza di Pfoa e Pfos, ma anche per tanti altri composti di più recente applicazione industriale». Nonostante nel 2020 l’Efsa, autorità europea per la sicurezza alimentare, abbia ridotto di più di quattro volte il limite massimo tollerabile di Pfas che possono essere assunti attraverso la dieta (a settembre 2020 sono stati abbassati a 4,4 nanogrammi per ogni chilo corporeo su base settimanale), «la Regione - proseguono Mamme no pfas e Greenpeace - non ha effettuato nuove valutazioni né messo in atto azioni concrete per tutelare la popolazione e le filiere agroalimentari e zootecniche. A ciò si aggiungono alcuni limiti sul monitoraggio dell’area geografica, che non include la zona arancione e altre aree toccate dalla contaminazione, nonché l’insufficienza di analisi su importanti produzioni diffuse nelle zone interessate. Nonostante i valori allarmanti, dal 2017 la Regione - hanno dichiarato le due associazioni - non ha effettuato ulteriori monitoraggi né intrapreso azioni risolutive per azzerare l’inquinamento e ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate all’uso potabile. Inoltre, per quanto è noto, risulta che la Regione ha finora ignorato il rischio per l’intera comunità nazionale e non solo, visto che alcuni di questi alimenti potrebbero essere venduti anche all’estero. Si tratta di mancanze intollerabili: chi è responsabile della salute pubblica ha il dovere di fare tutto il possibile per affrontare concretamente un problema sanitario così rilevante».
Greenpeace e le Mamme no pfas chiedono dunque alla Regione di avviare al più presto un nuovo monitoraggio sugli alimenti prodotti in area rossa e arancione e, partendo dai dati del 2017, di adottare misure urgenti per ridurre i rischi per la salute delle persone. Infine, considerando che la valutazione degli effetti sanitari dei valori di contaminazione diffusi oggi è molto complessa, fanno un appello alla comunità scientifica affinché analizzi l’intero set di dati, che può essere richiesto alle due associazioni per un’analisi sui possibili rischi per la salute. La Regione, interpellata, per il momento non ha rilasciato dichiarazioni.

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