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Il processo

Tragico schianto a Lobia. I «non ricordo» dell’amica e le parole dei pompieri

Davide Pilotto morì mentre l’imputata Camilla Marcante rimase ferita. Alla teste mosse contestazioni. Ai soccorritori domande sulle cinture
I sommozzatori dei vigili del fuoco al lavoro nel torrente Orolo la mattina del 5 agosto 2020 ARCHIVIO
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I sommozzatori dei vigili del fuoco al lavoro nel torrente Orolo la mattina del 5 agosto 2020 ARCHIVIO

Chi guidava l’Opel Insigna che la mattina del 5 agosto 2020 finì nel torrente Orolo causando la morte di Davide Pilotto, 22enne che abitava a Motta di Costabissara, e il ferimento di Camilla Marcante, 26enne di Caldogno? È la domanda attorno alla quale ruota tutto il processo che vede seduta al banco degli imputati Marcante, difesa dagli avvocati Franca Vitelli di Milano e Tonino De Silvestri, accusata di omicidio stradale. Ieri mattina, in tribunale si è aperto il dibattimento davanti al giudice Antonella Toniolo con l’audizione dei primi teste del pubblico ministero.

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La disgrazia avvenne all’alba

Pilotto e Marcante avevano passato la notte in un locale a Jesolo assieme ad altre due amiche, Federica Mancuso e Ida Bozanovic, che erano scese dall’auto prima dello schianto. Fino a quel momento a guidare era stato Pilotto. Dopodiché la vettura era ripartita alla volta di Caldogno. Mentre percorreva strada di Lobia la Opel aveva urtato in curva contro il cordolo di un marciapiede e sbandato dall’altra parte della carreggiata, dove aveva abbattuto le transenne messe provvisoriamente a protezione del ponte. L’auto cappottò nel corso d’acqua e Pilotto perse la vita, probabilmente sul colpo. Marcante fortunatamente si salvò, anche grazie all’intervento dei vigili del fuoco. 

L'ipotesi iniziale

L’ipotesi iniziale degli investigatori era quella che guidasse Pilotto, ma alcune risultanze delle indagini portarono a ritenere che, in realtà, ci fosse la ragazza al volante. Per due volte la procura aveva chiesto l’archiviazione e per due volte il giudice per le indagini preliminari l’aveva respinta, disponendo l’imputazione coatta per la giovane, che ha sempre respinto le accuse. I genitori di Pilotto, assistiti dall’avvocato Leonardo Maran, si erano costituiti parte civile all’udienza preliminare. La stessa cosa aveva fatto la madre del figlio della vittima, tutelata dagli avvocati Lino Roetta e Giuseppe Mecenero.

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I testimoni

In cima alla lista dei testimoni del pubblico ministero ci sarebbe Bozanovic. La giovane, però, risulta irreperibile (al termine dell’udienza la procura l’ha citata nuovamente e saranno disposte ulteriori ricerche). La prima a essere ascoltata è stata allora l’altra giovane che faceva parte della comitiva di amici, Mancuso. Quest’ultima ha ripetuto più volte di non ricordare molti particolari di quella serata e il pm le ha fatto diverse contestazioni perché la teste avrebbe riferito circostanze diverse rispetto a quelle che aveva reso alla polizia locale due giorni dopo il dramma. Tant’è che, a un certo punto dell’udienza, il giudice ha messo in guardia Mancuso sulla possibilità di inviare gli atti alla procura per falsa testimonianza. 

Le indagini

Dopodiché sono stati ascoltati alcuni appartenenti al corpo della polizia locale che aveva effettuato i rilievi dell’incidente avvenuto in strada di Lobia. A quel punto le domande delle parti si sono concentrate sulle condizioni dell’abitacolo dell’auto. «Le foto sono state scattate appena la Opel è stata estratta dal torrente - ha riferito il vice commissario Mirco Bassetto -. La cintura del passeggero anteriore era stata tagliata dai vigili del fuoco e quella del conducente era stata pretensionata, quindi bloccata in quella posizione. In teoria, quella cintura non era stata agganciata perché l’avremmo trovata agganciata al gancio. Il perno, invece, era libero. Gli airbag anteriori erano esplosi. Era esploso anche il laterale anteriore destro, quello del passeggero». 

I soccorritori

Poi è stata la volta di ascoltare i vigili del fuoco, tra i quali Luca Scaldaferro che dirigeva la squadra dei sommozzatori intervenuta nell’Orolo: «Mi sono portato davanti alla portiera del conducente. La macchina era parzialmente sommersa. Ho cercato di rompere il finestrino lato conducente, ma avevo poco spazio - ha detto -. Allora mi sono portato al finestrino anteriore lato passeggero e ho rotto il vetro con una mazzetta. Ho infilato il braccio quanto ho potuto, perché avevano la bombola sulle spalle, e sentito un corpo inerme sospeso a mezz’acqua. Fluttuava nell’abitacolo nella parte anteriore. Ho cercato di estrarlo, ma quando lo avvicinavo a me c’era la cintura che lo tratteneva. Non so quale fosse. L’ho tagliata. In ragione della visibilità scarsa, dall’esterno il corpo non si vedeva. L’ho afferrato tra il braccio e la spalla e ho tentato di farlo uscire dal finestrino, ma l’apertura era troppo piccola». Il soccorritore era poi stato raggiunto da un collega: «Siamo tornati sul lato anteriore conducente e mentre stavamo aprendo la portiera con il divaricatore ho percepito un lamento e realizzato che c’era un’altra persona all’interno. Abbiamo dedotto che fosse nella parte posteriore, che era meno sotto acqua rispetto a quella anteriore. Ci siamo portati alla portiera posteriore del conducente, l’abbiamo aperta; però, non vedevamo nulla. Allora abbiamo fatto il giro dell’auto e siamo andati alla portiera posteriore lato passeggero. Il collega ha interagito con la ragazza (Marcante, ndr) e ha tentato di tirarla fuori, ma sentiva che era bloccata con una gamba o un piede. Non so dove. Il collega l’ha sfilata e l’ha fatta uscire e l’abbiamo affidata al 118. Poi siamo tornati alla portiera del conducente, abbiamo ultimato il lavoro di apertura ed estratto Pilotto. Mi ricordo che aveva una ferita sulla fronte». A Scaldaferro sono stati quindi chiesti dettagli sulla cintura che impigliava il corpo della vittima: «Era lasca, non tesa». Il sommozzatore ha però sottolineato di non poter essere «preciso sulla posizione di Pilotto al momento dell’estrazione» perché davanti a lui c’era il collega. E ha concluso: «Se la cintura fosse stata indossata, lo avrei trovato a testa in giù. La cintura non era stata indossata». 

 

Valentino Gonzato

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