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Il Vicentino a caccia di lavoratori

Carenza di personale. Colloqui via webcam per reclutare al Sud

Le agenzie interinali sono alla ricerca di numerose figure, ma i candidati scarseggiano (Foto Archivio)
Le agenzie interinali sono alla ricerca di numerose figure, ma i candidati scarseggiano (Foto Archivio)
Le agenzie interinali sono alla ricerca di numerose figure, ma i candidati scarseggiano (Foto Archivio)
Le agenzie interinali sono alla ricerca di numerose figure, ma i candidati scarseggiano (Foto Archivio)

A caccia di lavoratori. Vendemmiatori e stagionali - è di ieri l’appello di Confagricoltura - ma anche operai, tecnici, piastrellisti, posatori, camerieri, baristi, commessi. Non c’è settore, praticamente, in cui non ci sia fame di personale. Tanto che le aziende, anche le più grosse, hanno cominciato a pescare oltre i confini vicentini e veneti, cercando manodopera al Sud con colloqui via Skype. Una modalità fino ad oggi impensabile per l’assunzione di figure cosiddette “generiche”. Fino ad oggi appunto. Ma dopo la pandemia, che ha sdoganato la conoscenza via webcam, reclutare a distanza operai per il comparto metalmeccanico, tessile, plastico e così via sembra l’unica alternativa possibile. Il motivo è semplice: servono risorse umane o la macchina economica si ferma.

 

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Lo ha scandito a chiare lettere la presidente di Confindustria Vicenza Laura Dalla Vecchia - «Manca personale, le imprese rinunciano agli ordini» -, lo confermano, a distanza di qualche settimana, le agenzie interinali e di impiego della città. «A partire da maggio, in concomitanza con le riaperture, si sta facendo fatica a reperire manodopera sia specializzata che generica, tanto che anche in questo periodo di ferie siamo alla ricerca in vista della ripresa di settembre», fanno sapere da “Eurointerim” di viale Verona.

Anche l’agenzia “Adecco”, solo sul Vicentino, ha attivi attualmente 231 annunci: dal responsabile reparto di stampaggio all’addetto all’ortofrutta, dall’elettricista al tornitore, dal carpentiere all’impiegato amministrativo, ma basta fare un giro su qualsiasi piattaforma di recruitment per imbattersi in centinaia di offerte su città e provincia.

Negli uffici di “Etjca”, in piazzetta Lorenzon, in questi giorni sono almeno 50 i posti vacanti da riempire: «Le aziende ci chiedono continuamente lavoratori ed è difficile trovare anche le figure più semplici, per la produzione, mancano proprio le candidature», spiega Alice Terreran, district manager delle filiali “Etjca” di Vicenza e Padova. Operai dunque, ma anche addetti alla ristorazione «davvero introvabili», motivo per cui le ditte, spesso le più grosse, hanno iniziato a guardare al Mezzogiorno. «In questo momento si stanno sfruttando tutti i canali di reclutamento e si fanno molti video colloqui a distanza con ragazzi del Sud, che magari hanno già parenti o amici a Vicenza e in Veneto e sono disponibili a spostarsi».

 

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Specie alla luce dei miglioramenti che si registrano a livello contrattuale: «La durata dei contratti si è allungata, si parte con quelli di somministrazione o a tempo determinato per tre o sei mesi, ma sono molti quelli che si trasformano in indeterminati», assicura Terreran.
Perché, dunque, in un’Italia che secondo un recente studio di “Randstad” conta 26 milioni di inattivi, non si riescono a reperire lavoratori?

«Colpa del mismatch, ovvero della non corrispondenza, tra quello che il mercato chiede e quello che la platea lavorativa offre, in termini di competenze ma anche di disponibilità», è l’analisi di “Randstad”, che a Vicenza e provincia ha tre filiali. Proprio uno studio dell’osservatorio “Randstad Research” ha evidenziato che, ad accentuare quello che è un antico problema italico, ci si è messa la pandemia: «Il virus ha generato sfiducia e infatti nel 2020 gli inattivi sono aumentati del 3%», rileva “Ranstad”. Persone con più di 15 anni che scelgono di non cercare nemmeno lavoro, preferendo restare a casa o, in molti casi, percependo reddito di cittadinanza o altri sostegni. «Oltre ai sussidi, che fanno parte delle politiche passive per il lavoro, servono quelle attive, di incentivo - conclude “Randstad” - come la riqualificazione professionale attraverso corsi e formazione, da promuovere a tutte le età perché flessibilità non significa precarietà, ma opportunità». 

 

Giulia Armeni

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