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Il dramma

Beppe Faresin, l’esploratore: «In Alaska ho visto la morte in faccia»

Beppe Faresin, l’esploratore di 70 anni, ha rinunciato alla spedizione in Alaska dopo 180 chilometri: ha rischiato la vita
Beppe Faresin, l’uomo del kayak, ha rischiato la vita (Foto Ma.Bi.)
Beppe Faresin, l’uomo del kayak, ha rischiato la vita (Foto Ma.Bi.)
Beppe Faresin, l’uomo del kayak, ha rischiato la vita (Foto Ma.Bi.)
Beppe Faresin, l’uomo del kayak, ha rischiato la vita (Foto Ma.Bi.)

«Il fiume ha piegato la mia determinazione: sono stato costretto a rientrare a casa». Questa volta Beppe Faresin se l’è vista davvero brutta. Venerdì l’esploratore sandricense, 70 anni, ha dovuto interrompere la spedizione sul Noatak river, nell’Alaska artica, a causa delle condizioni estreme che si è ritrovato ad affrontare. Un corso d’acqua furioso, ingrossato pericolosamente dallo scioglimento delle nevi e dalle precipitazioni torrenziali.

Il dramma di Beppe Faresin in Alaska

«Purtroppo la situazione è precipitata. La corrente era sempre più forte e mi spingeva tra le tante rocce che si intravedevano a malapena. Ho sbattuto contro una di queste e mi sono piantato in una secca, con la canoa subito di traverso. In qualche modo sono riuscito a saltar fuori per prenderla, ma sotto c’era un buco profondo e in un secondo avevo l’acqua al collo. Sentivo che la corrente mi stava trascinando con una forza impetuosa verso le rapide. In quel momento ho visto la morte in faccia», ha raccontato l’uomo del kayak. «Per fortuna, e non so come, ho ripreso di nuovo la secca. Solo un altro metro e sarei sprofondato tra i gorghi vorticosi dove il fiume sbatte contro la montagna, senza alcuna possibilità di riemergere».

Tornato a bordo della sua canoa, il vicentino ha viaggiato per altre due ore, fradicio e congelato, riuscendo infine a trovare un spiazzo in cui allestire il campo, riuscendo a tirare il fiato: scampato pericolo. 

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Il recupero

Poi la chiamata d’emergenza con il satellitare e la risalita controcorrente lunga circa un chilometro per raggiungere un punto adatto all’atterraggio dell’aereo. Dopo due giorni d’attesa, domenica è stato recuperato da un Cessna e ha poi raggiunto in volo l’avamposto di Kotzebue. 

La spedizione

«In appena tre giorni, due dei quali sotto la pioggia, ho percorso 180 chilometri in condizioni precarie: a ogni ansa il fiume ti spingeva contro le montagne a una velocità di oltre i 18 chilometri orari, creando onde alte anche due metri e dei vortici paurosi. Per tutto il viaggio ho corso continuamente il rischio di essere risucchiato. Dai canaloni, poi, scendevano senza sosta dei veri e propri torrenti. Il Noatak si è improvvisamente trasformato in un nemico», ha aggiunto.

«Adesso mi sembra di essere uscito da un brutto sogno. Durante tutte le mie spedizioni mi sono sempre adattato perché le avventure sono così: soffri e stringi i denti per affrontare le avversità e raggiungere la meta. Però è fondamentale che la sicurezza resti al primo posto. Quando non si riesce più a gestire la situazione, allora si presenta un problema serio. Di fronte a situazioni imprevedibili come questa, in cui la portata e la furia delle acque cambiano nel giro di poco, è necessario cercare un piano B. Ma sul Noatak, tra la natura più selvaggia e a distanza di centinaia di chilometri da tutto e tutti, non c’erano alternative, solo arrivare a un punto in cui l’aereo riuscisse a recuperarmi». 

Il rientro a casa di Faresin:  «Devo recuperare le forze»

Faresin, che ieri è atterrato a Venezia, ora è tornato a casa per riabbracciare la sua famiglia e rimettersi in sesto. «La schiena è malconcia e ho tenuto a bada il dolore con antinfiammatori e antidolorifici. Devo recuperare le forze e poi si vedrà. Nel dubbio - confida, quasi a voler annunciare una nuova sfida - mi sono segnato il punto fino a cui sono riuscito ad arrivare». 

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Marco Billo

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