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Venti di guerra

Il rientro in Ucraina. «Dobbiamo coltivare per poter resistere»

Le proprie case, gli affetti, i campi da coltivare. Appena se ne presenta l’occasione, quando la situazione sembra essere più tranquilla, i profughi ucraini che desiderano rientrare in patria riescono a trasformare questo sogno in realtà. «Non è un fenomeno da sovrastimare - spiega Emanuele Cassaro, vicecapo di gabinetto della prefettura che coordina l’area Cittadinanza e immigrazione -. Però c’è e lo monitoriamo. Si tratta di persone che arrivano come sfollati di guerra la cui prospettiva è quasi unicamente quella del rientro». Dalla rete dei Cas (i Centri di accoglienza straordinaria), 58 tra le persone che erano state accolte sono uscite, un numero pari a circa il 20 per cento del totale. Di queste 58, 36 hanno dichiarato di voler tornare in Ucraina. Al di fuori della rete Cas, il Centro servizi per il volontariato di Vicenza, che si occupa di coordinare gli arrivi volontari predisponendo anche la distribuzione dei profughi nella rete di accoglienza privata, ha dichiarato alla prefettura 28 rientri. A questi, devono essere aggiunti gli 85 ucraini che sono stati richiamati a Zhytomir, città che dista 140 chilometri della capitale Kiev, e che hanno deciso di rientrare in patria, partendo su due autobus che hanno preso il largo domenica mattina da viale Roma. 
«Abbiamo gestito 440 arrivi con sette viaggi di nove pullman in collaborazione con Otb - racconta Maria Rita Dal Molin, direttrice di Csv -. Ma anche altri 150 arrivi assieme all’associazione “Il Ponte - Mict”, con persone che sono andate direttamente in famiglia, magari ex bambini di Chernobyl. Attualmente abbiamo 120 persone che sono già andate via, anche se il numero è in aggiornamento. In particolare quelli di Zhytomyr, che sono stati richiamati dallo stesso sindaco. È stato lui a organizzare i bus per il ritorno, dopo aver contattato i profughi su una chat. Sono partiti molti di quelli che erano ospitati alla fondazione Baschirotto». Inevitabile che siano nati legami fortissimi: «Lì la vita è ricominciata ma la sicurezza non c’è - prosegue Dal Molin -. Ci sono allarmi continui e, per alcuni, tornare a casa vuol dire stare sotto le bombe, ma non ci è dato sapere quale sarà l’evolversi di questa guerra. Le famiglie italiane erano molto preoccupate. Ho visto i pianti. Si sono costruiti dei rapporti forti, legami importanti. Hanno cambiato tante vite. Una delle cose più singolari è che alcuni sono arrivati con niente e sono ripartiti con un guardaroba». 
C’è chi tornerà? «Ci sono tre ragazze che, dopo aver terminato il liceo in Ucraina, vorrebbero frequentare l’Università qui in Italia ma ci sono anche mamme che mi hanno chiesto di provare a cercare un’occupazione qui. Purtroppo c’è anche chi non è potuto partire: una nonna ha dovuto salutare la nuora con il figlio e tre nipoti. Lei ha un brutto male e resterà qui per curarsi all’oncologia di Montecchio», aggiunge Dal Molin. 
Le richieste di arrivo si sono interrotte? «No - conclude la direttrice di Csv -. Abbiamo ricevuto richieste da parte di chi vive nelle città che sono state proprio distrutte e stiamo cercando di capire come muoverci. Anche perché ci sono molte famiglie che si sono messe a disposizione e che hanno ospitato senza però ricevere contributi. Se vogliamo incentivare l’accoglienza diffusa, dobbiamo andare incontro alle famiglie. Non è facile ospitare i parenti e loro avevano in casa estranei. Sono stati davvero bravi». 
«Sabato è partita una parte delle persone della regione di Zhytomyr - racconta Anna Parovyak, una delle referenti della comunità ucraina di Vicenza -. Perché è la primavera che fa sfamare l’inverno e se adesso non piantano i loro orti per l’inverno non avranno il cibo. Siccome la loro regione adesso è tranquilla, hanno deciso di partire. Da quello che so, per il momento sono circa 200 quelli che hanno deciso di ritornare in Ucraina». Intanto il presidio del Movimento volontario, che pochi giorni dopo l’attacco russo è stato aperto alla parrocchia di San Giuseppe, resta attivo ogni pomeriggio dalle 14 alle 18. Le richieste di beni di prima necessità non sono cambiate anche se sono comparse anche liste più specifiche: l’ultima è quella riservata a materiale utile per i soldati ucraini. 

 

Karl Zilliken

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