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Vicenza

I nomadi chiedono nuovi campi. «Le aree attuali non sono dignitose»

Gli attuali insediamenti non sono dignitosi e spesso si vedono circolare grossi ratti
Gli attuali insediamenti non sono dignitosi e spesso si vedono circolare grossi ratti
Gli attuali insediamenti non sono dignitosi e spesso si vedono circolare grossi ratti
Gli attuali insediamenti non sono dignitosi e spesso si vedono circolare grossi ratti

Dai grandi insediamenti alle microaree familiari, «perché non è vita dignitosa quella che ci vede segregati negli attuali campi nomadi». Davide Casadio, fondatore della sezione berica del movimento Men Sinti, mediatore culturale e attivista di lungo corso per i diritti di rom e sinti, parla di integrazione come di un traguardo ancora lontano per i due gruppi etnici che in tutta la provincia sono rappresentati da un migliaio di persone. E intravede nel miglioramento delle condizioni abitative una ricetta per l’inclusione sociale. 

Miglioramento che potrebbe avvenire con l’adozione di un nuovo modello di insediamento urbano, in grado di superare i campi nomadi attraverso l’individuazione, per chi rifiuta la piena stanzialità, di tante piccole aree nelle quali inserire con le loro case mobili (i costi di gestione sarebbero a carico degli ospiti) un numero limitato di famiglie, tutte legate dal vincolo della parentela. Una richiesta, questa, nell’aria da tempo ma mai concretamente affrontata, almeno in città, dalle amministrazioni che si sono succedute. «Eppure non si tratterebbe di una novità – avverte Casadio - l’Emilia Romagna ha già adottato questa soluzione che recepisce la Strategia europea per l’integrazione di rom e sinti, disponendo lo smantellamento dei campi nomadi. Tutto questo allo scopo di eliminare i problemi legati alla convivenza forzata e di eliminare le situazioni di degrado. In alternativa, vorremmo chiedere di poter acquistare dei terreni, occupandoci delle spese di urbanizzazione e dei costi delle utenze». Una questione di «dignità». 

Nel mirino, i due insediamenti di viale Diaz e viale Cricoli, dove vivono circa 20 nuclei e dove «non di rado capita di vedere circolare dei grossi ratti», scuote la testa Casadio. È un anniversario doloroso ad offrire l’occasione per parlare dei diritti delle minoranze etniche. Quello dello sterminio di rom e sinti avvenuto il 2 agosto del 1944, la pagina più nera della storia di persecuzioni subite dai due popoli, in cui quasi 3 mila tra uomini, donne e bambini morirono nelle camere a gas del campo nazista di Birkenau. Per ricordare la tragica notte del “Porrajmos”, che in lingua romanì significa “distruzione, annientamento”, ieri mattina Casadio assieme ad altri due esponenti della comunità sinti si è recato in visita al parco della memoria, il filare di gelsi all’interno dell’area di parco Fornaci dedicato “agli uomini e alle donne di Vicenza deportati nei campi di concentramento”. Con la bandiera rom sollevata - un cerchio a raggi rossi su sfondo blu e verde – ha sottolineato il valore della memoria: «Ricordare è un dovere verso il futuro. Questa giornata deve servire da monito contro ogni forma di discriminazione e odio, che si combattono non escludendo, ma includendo. Mai come ora dobbiamo credere nell’integrazione, investendo nelle politiche abitative». Anche per estirpare il pregiudizio: «Paghiamo per poche persone che non si comportano bene – conclude - ma le pecore nere ci sono dappertutto, i nostri figli vanno regolarmente a scuola, alcuni di noi sono sposati con i “gaggi”, i non rom e sinti, qualcuno è avvocato, medico, anche imprenditore, ma spesso preferiscono non rivelare le proprie origini per non perdere il posto di lavoro». 

Laura Pilastro

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