Vicenza

Cellule staminali
Trapianto salva
un midollo malato

Un tecnico nel laboratorio di terapie cellulari. ARCHIVIO
Un tecnico nel laboratorio di terapie cellulari. ARCHIVIO
Un tecnico nel laboratorio di terapie cellulari. ARCHIVIO
Un tecnico nel laboratorio di terapie cellulari. ARCHIVIO

Valdagnese. Cinquant’anni. Una malattia che fa paura: mielofibrosi cronica. Lo salvano al San Bortolo con un doppio trapianto di cellule staminali “manipolate” nel laboratorio di terapie cellulari dell’Ulss. È la prima volta a Vicenza che si utilizzano su un paziente cellule lavorate in un laboratorio avveniristico, fra i pochi in Italia e in Europa, che da poco, grazie a un disegno organizzativo e amministrativo del direttore generale Giovanni Pavesi, è entrato a far parte delle dotazioni dell’Ulss 6, e che fa già gola alle più potenti multinazionali del mercato dei farmaci.

La mielofibrosi è un tumore del sangue raro e aggressivo che attacca e divora le cellule staminali del midollo osseo, cioè le cellule-madri dei globuli bianchi, dei globuli rossi, delle piastrine. Il midollo si svuota e diventa secco, fibroso. Per sopravvivere occorrono continue trasfusioni di sangue. Il paziente di Valdagno era stato già sottoposto a un trapianto di midollo avuto da un donatore tedesco. Ma non era bastato. Così il donatore si è prestato generosamente a un altro prelievo. E il midollo è stato “rinforzato” per poter attecchire meglio, innestando cellule staminali “purificate” grazie a una procedura prima sperimentata e poi perfezionata nel “lab” di palazzo Baggio diretto da Giuseppe Astori, un ricercatore molto richiesto in Italia e all’estero che, anni fa, chiamato dall’allora primario di ematologia Francesco Rodeghiero, ha scelto di venire a Vicenza lasciando un centro piuttosto affermato a Lugano e una carriera sicura per una scommessa al buio ricca solo di incognite.

Le cellule “catturate” dal sangue periferico del donatore sono state manipolate dai biologi vicentini fino ad ottenere cellule mesenchimali pure al 99 per cento e dotate di elevata capacità riproduttiva. Ora il midollo del paziente, che non produceva più sangue e si era per così dire prosciugato, è ritornato normale. E l’uomo di Valdagno può considerarsi quasi definitivamente guarito. Altrove, in Italia, una metodologia del genere si applica soltanto all’università di Genova. Non solo. Nei mesi scorsi altri 5 pazienti sono stati trattati con un altro di tipo di cellule manipolate nel laboratorio dell’Ulss, seguendo una procedura originale che, con alcune varianti, viene effettuata unicamente a Milano e a Düsseldorf. Avevano una forma di leucemia acuta. Erano stati trapiantati. Ma restava alto il rischio di una recidiva della malattia e soprattutto di un rigetto che sarebbe stato devastante. Per questo si è deciso di procedere a un’infusione di cellule stromali parenchimali ottenute, grazie a una tecnologia avanzatissima, da cordoni ombelicali scartati. Queste cellule naïf si sono dimostrate assolutamente efficaci.

«I risultati sono ottimi», assicura il primario facente funzioni del reparto di ematologia del San Bortolo. Il laboratorio, un mix di macchine ultramoderne inserito in un palazzo d’epoca che anche per questa sua specificità avrà presto il reportage di una rivista top europea, è un autentico patrimonio, anche se per lo più sconosciuto ai vicentini, e anche se a quasi tutti sfugge ancora l’importanza che potrà avere in un futuro prossimo un struttura di avanguardia come questa in cui si potranno produrre farmaci cellulari personalizzati, bombe staminali, linfociti cecchini, in grado di bombardare e vincere malattie che restano subdole, perfide, in una certa percentuale ancora letali, come le leucemie, i linfomi, i mielomi.

Franco Pepe

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