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Altavilla

Spia i dati di una giovane: carabiniere va a giudizio

Qualche anno fa, da un’accusa simile, era stato assolto, dimostrando in Appello la sua innocenza dopo che il tribunale di Vicenza lo aveva ritenuto responsabile. Ora l’appuntato dei carabinieri Luca Lamannis, 50 anni, è ritornato a processo: la procura distrettuale di Venezia, competente per questo genere di reati, ha ottenuto il suo rinvio a giudizio per accesso abusivo ad un sistema informatico e per falsità materiale. Il diretto interessato, assistito dall’avv. Pietro Porciani, nega con decisione responsabilità ed è pronto di nuovo a difendersi in aula: «Io ho fatto solamente il mio lavoro».
La vicenda ricostruita dagli inquirenti è singolare. Il militare, nell’aprile 2019, era in servizio alla stazione di Altavilla quando, usando le credenziali di un altro appuntato (il quale era stato indagato, ma la sua posizione è stata poi archiviata), era entrato nello Sdi, dispositivo Odino, la banda dati in uso alle forze dell’ordine, per compiere un’interrogazione su tale Vanessa P. Secondo l’accusa, lo avrebbe fatto senza una reale esigenza o ragione di servizio; quale che ne fosse il motivo, dalle indagini non è emerso, e si tratta di una circostanza che eventualmente potrà essere chiarita in aula. Non solo: il carabiniere avrebbe anche redatto un falso verbale (di qui la seconda ipotesi di reato mossa dal pubblico ministero Spigarelli, la falsità materiale), con una relazione di servizio per “persona sospetta”, che secondo il magistrato sarebbe servita solo a giustificare l’interrogazione al computer. 
I fatti sarebbero emersi qualche tempo dopo; erano scattati degli accertamenti, che avevano portato i superiori dell’appuntato a ritenere che quell’accesso fosse abusivo, e la relazione fasulla; di qui la denuncia del militare e del suo collega, che erano finiti sotto inchiesta ma che non hanno subito procedimenti disciplinari.
La ricostruzione dell’imputato è diametralmente opposta. La difesa del militare infatti sostiene che Lamannis aveva ricevuto, da fonte confidenziale, la notizia che Vanessa era latitante e che era in transito nella zona di Altavilla. Per questo aveva fatto - non dal computer che avrebbe dovuto utilizzare, in caserma, che era guasto, ma da un altro pc, sempre all’interno della stazione, che comunemente veniva usato per altre attività - quello che un carabiniere dovrebbe fare: verificare se la giovane era davvero ricercata, e perché, e se c’era qualche elemento che la legava ad Altavilla o al Vicentino. E questo aveva poi scritto nella relazione di servizio; la notizia non era stata diffusa ad alcuno, ma era rimasta all’interno della caserma. «Processi come questo - stigmatizza l’avv. Porciani - sono un invito indiretto alle forze dell’ordine, quando ricevono una notizia del genere, a girarsi dall’altra parte anziché fare quello per cui sono pagati, fra cui anche la ricerca dei latitanti». In aula, davanti al giudice Molinaro, sarà fatta chiarezza. 

 

Diego Neri

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