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BOLZANO VICENTINO

Covid, caro bollette e stanchezza: il panificio chiude dopo 100 anni

Il negozio di Claudio Campagnolo era stato aperto nel 1927 a Lisiera. «Ha superato anche una guerra ma l’economia è troppo cambiata»
Claudio Campagnolo con la moglie Manuela davanti al forno ormai chiuso
Claudio Campagnolo con la moglie Manuela davanti al forno ormai chiuso
Claudio Campagnolo con la moglie Manuela davanti al forno ormai chiuso
Claudio Campagnolo con la moglie Manuela davanti al forno ormai chiuso

Novantacinque anni sono una vita. Anzi, tre vite. Tre generazioni che si alternano: dal nonno al figlio, dal figlio al nipote. Fino alla decisione di chiudere. Con la chiusura del Panificio Campagnolo di Lisiera, avvenuta l’ultimo giorno del 2022, non chiude solo un’attività ben radicata nel territorio, ma anche un pezzo di storia della frazione di Bolzano Vicentino.

Affetto e tanti saluti

«In questi giorni molti clienti storici ci hanno inviato dei biglietti di ringraziamento, qualcuno perfino dei regali - racconta Claudio Campagnolo, 61 anni, titolare del panificio aperto dal nonno e poi ereditato dal padre -. Io e mia moglie Manuela siamo rimasti sorpresi, non ci aspettavamo tutto questo affetto». Un affetto non casuale, se si pensa che in una piccola frazione come Lisiera, per quasi un secolo, quel panificio è stato un vero e proprio punto di riferimento per tutta la comunità. Tutto iniziò nel 1927, quando Pietro Campagnolo aprì l’attività, in via Acque: «A quei tempi a Lisiera c’erano solo la chiesa, la farmacia e l’osteria. Mio nonno aveva la passione per il pane e per le paste, per questo decise di aprire il panificio, aiutato da mia nonna Maria».

Il panificio

Panificio, che ingranò subito. E non solo grazie al pane, ma anche per merito dei prodotti da pasticceria, come i krapfen e i cannoncini, e la popolare “sagra”, formata da spumiglie, croccanti e sfogliatine, che per decenni hanno fatto la felicità dei residenti delle frazioni di Lisiera e Ospedaletto, e del quartiere di Anconetta. Il locale, poi spostato a poche decine di metri, in via Ponte, dopo essersi salvato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale (la farmacia della frazione, all’epoca, non fu così fortunata, a causa della vicinanza con la stazione dei treni), passò negli anni Sessanta al figlio di Pietro, Orlando, che assieme alla moglie Maria, lo gestì con passione fino ai primi anni Novanta, quando subentrò proprio il figlio Claudio, aiutato dalla moglie Manuela.

La storia

«Sono cresciuto qui dentro - ricorda -. Da bambino facevo i giri con mio papà, quando portava il pane a domicilio. La passione per questo lavoro me l’ha trasmessa lui». Un lavoro appagante, fatto di tradizione e di relazioni umane quotidiane, ma anche, com’è risaputo, di orari pesanti. Ed è proprio questo uno dei motivi, che ha portato alla decisione di chiudere la storica attività di famiglia. «Fare questo mestiere significa svegliarsi alle due del mattino, per poi andare a dormire molto presto la sera. È un lavoro bello ma usurante, sia a livello fisico che mentale. Anche per questo ho deciso di chiudere». Anche l’aumento esorbitante delle spese, ha inciso sulla scelta fatta da Claudio e dalla moglie. «Quest’anno è aumentato tutto - racconta Manuela, che per più di trent’anni ha gestito il panificio assieme al marito -. Non solo le spese di luce e gas, ma anche il costo dei sacchetti di carta e delle farine è aumentato molto». La coppia ha dunque deciso di dedicarsi a tempo pieno ai nipotini e ai figli, «che hanno scelto di fare altri lavori - spiega Claudio -. Ed è giusto così. Mio papà non mi ha mai obbligato a fare il suo lavoro, la passione mi è venuta in maniera spontanea.

Il futuro di questo mestiere?

«È dura per un giovane sopportare questi orari di lavoro. Credo che ci saranno sempre meno artigiani, e sempre più produzioni industriali». Resta il grande affetto della comunità di Lisiera, manifestato anche sui social, per un capitolo di storia della frazione che si chiude per sempre. «Certi clienti ormai sono diventati amici - conclude il 61enne -. Più che il lavoro, mi mancherà il rapporto umano».

 

Marco Marini

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