«Non sono un eroe, né un pazzo. Qui il pericolo c’è, ma è per questo che il mio posto è qui, vicino a chi ha bisogno di aiuto, a chi ha perso tutto: casa, famiglia e campi devastati dalla cenere del vulcano e ora non sa più come sopravvivere». A peggiorare la situazione, nell’inferno del Taal, con continue eruzioni, è arrivato anche il terremoto. «Una scossa fortissima e se ne attendono altre. La paura è tanta tra il mezzo milione di sfollati», ha raccontato ieri padre Giovanni Gentilin dalle Filippine, missionario da 31 anni. Nel paese di Alfonso de Cavite, «a soli 2 chilometri in linea d’aria» dal vulcano che sta inondando di ceneri Manila e tutta l’area circostante, gestisce la missione Talithà Kumì, un ospedale e una parrocchia con l’aiuto di un altro padre canossiano. La situazione è drammatica, non pensa di rientrare in Italia? No, qui c’è bisogno di me. L’unica cosa che chiedo ai nostri amici in Italia e ad Arzignano è quella di pregare per me, affinché io possa continuare nel mio lavoro. Ma non è facile restare in un “inferno” di lava e ceneri... Tutto è invaso dalla polvere del Taal. C’è gente in strada. Le persone dormono sull’asfalto, in attesa che qualcuno li porti in un luogo sicuro. Qui non è come in Italia che arriva la protezione civile, qui muori se nessuno ti aiuta. Riuscite a comunicare tra confratelli tra le varie missioni? I collegamenti telefonici sono saltati, internet è interrotto. Noi abbiamo un generatore a gasolio. Per fortuna resiste il segnale dei cellulari, ma non so per quanto ancora. Le scosse di terremoto hanno provocato danni? Per ora no, Talithà Kumì è costruita con criteri antisismici. Come fate con i viveri? Stiamo utilizzando quelli arrivati dall’Italia nel gennaio dello scorso anno. Tutti alimenti a lunga scadenza. Pasta e altro cibo che ora, nell’emergenza dell’eruzione e dai terremoti, diventano vitali... La pasta soprattutto. Per decine di famiglie che stiamo ospitando, tra la nostra struttura e la parrocchia. Quanti sono gli sfollati che state assistendo? Da noi 20 famiglie e in parrocchia altre 50. Mediamente ogni famiglia ha 4-5 figli; poi ci sono altri sfollati senza famiglia. In tutto arriviamo, per ora, a 550 persone. Sono tante, ma noi andiamo avanti grazie all’aiuto di Dio e degli uomini. Gli uomini che da Arzignano vi inviano offerte, cibo e materiale? Sì soprattutto loro. Asma e tubercolosi: problemi che si aggravano nella popolazione con l’emergenza del Taal... Sì e manca tutto, anche le mascherine che prima costavano 40 pesos e ora vengono vendute a 200 pesos. C’è chi ne approfitta. Per fortuna da Arzignano è già partita una spedizione e anche da una persona che non lavora più qui con noi, ma che di noi non si è dimenticata. C’è chi approfitta della povera gente... Sì della povera gente, a cui però bisogna dare una mano. Come state facendo voi, dal punto di vista umanitario e sanitario... A Tondo, dove opero da 21 anni, il nostro ospedale assiste i malati. Il problema è che sono chiusi negozi, farmacie, servizi di prima necessità. Noi siamo il punto di speranza per chi è povero e ormai ha perso tutto quel poco che aveva e si sente abbandonato. Ma in molti da Arzignano non vi abbandonano... Sì, ringrazio tutti per quello che hanno fatto e che stanno facendo. Grazie alla onlus “Una Mano Aiuta l’Altra” a novembre, quando non c’era questa emergenza, sono partiti due container giunti in queste ore al porto di Manila. È la provvidenza: appena potremo recuperare il carico, lo utilizzeremo per sfamare la popolazione in questa nuova improvvisa odissea. • © RIPRODUZIONE RISERVATA