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RUSSIA E CINA “AVVISANO” GLI USA

Le truppe di Russia, Cina e Mongolia durante l’esercitazione militare congiunta  Vostok-2018 nella zona di Tsugol, in Siberia, non molto lontano dal confine dei tre Paesi. AFP/MLADEN ANTONOV Xi Jinping e Vladimir Putin al vertice di Vladivostok. EPA/SERGEI CHIRIKOV
Le truppe di Russia, Cina e Mongolia durante l’esercitazione militare congiunta Vostok-2018 nella zona di Tsugol, in Siberia, non molto lontano dal confine dei tre Paesi. AFP/MLADEN ANTONOV Xi Jinping e Vladimir Putin al vertice di Vladivostok. EPA/SERGEI CHIRIKOV
Le truppe di Russia, Cina e Mongolia durante l’esercitazione militare congiunta  Vostok-2018 nella zona di Tsugol, in Siberia, non molto lontano dal confine dei tre Paesi. AFP/MLADEN ANTONOV Xi Jinping e Vladimir Putin al vertice di Vladivostok. EPA/SERGEI CHIRIKOV
Le truppe di Russia, Cina e Mongolia durante l’esercitazione militare congiunta Vostok-2018 nella zona di Tsugol, in Siberia, non molto lontano dal confine dei tre Paesi. AFP/MLADEN ANTONOV Xi Jinping e Vladimir Putin al vertice di Vladivostok. EPA/SERGEI CHIRIKOV

Ribaltando il titolo del famoso romanzo di Erich Maria Remarque, c’è molto di nuovo sul fronte orientale. E poco rassicurante per quel che resta dell’occidente. Storicamente la Russia aveva sempre guardato con sospetto alla Cina: temeva che le sterminate lande orientali, su cui ci sono state periodicamente contese e rivendicazioni di territori, potessero diventare oggetto di brama da parte di Pechino. E su questa rivalità negli anni 70 aveva fatto leva Richard Nixon, attraverso l’abilità strategica di Henry Kissinger, per mantenere la supremazia ideale, economica e militare degli Stati Uniti. Divide et impera, questo è stato il lavoro portato avanti dalla diplomazia americana nel corso di quegli anni, molto facilitata dal fatto che il patrimonio occidentale di valori e idee fosse indiscutibilmente la base su cui costruire il sistema di alleanze del mondo libero contro le torve dittature comuniste. Ne è passata di acqua sotto i ponti delle spie: in questo mese di settembre l’annuale esercitazione militare russa, stavolta ribattezzata Vostok-2018, ha visto la partecipazione di uomini e mezzi cinesi, oltre che dalla Mongolia. Le cifre ufficiali parlano di 300 mila militari russi impiegati (ma secondo alcuni analisti del settore la cifra sarebbe sovrastimata), con la collaborazione di 3.200 soldati e 900 mezzi corazzati cinesi. Rispetto agli anni 70, quando Kissinger cercava di avvicinarsi alla Cina per mettere spalle al muro la minaccia della Russia, i ruoli sembrano capovolti. Certo, non ha molto senso inforcare gli occhiali che andavano bene in tempi di guerra fredda perché le cose sono cambiate, e parecchio. La Cina, per cominciare, è diventata una grande potenza economica ma è l’unico dei tre Paesi in questione a non aver mai combattuto una guerra negli ultimi 40 anni. Il punto è che adesso Xi Jinping, leader assoluto a Pechino, ha deciso di riarmare l’esercito e per questo ha acquistato missili terra aria e altre armi da Mosca. Questo non vuol dire che la Cina sia già diventata alleata della Russia, anche perché su molte questioni, vedi l’ultima guerra in Ucraina, Pechino ha mantenuto un atteggiamento molto freddo. Ma dal punto di vista economico la guerra vera è contro l’America di Trump, il presidente dei dazi, e per questo la vicinanza temporanea con Mosca può servire a indebolire l’inquilino inquieto della Casa Bianca. E dopo aver passato decenni a fertilizzare il terreno dell’economia interna, irrorandolo con dosi pesanti di capitalismo “depurandolo” dal fastidio della democrazia, ora Xi può mettere il naso fuori ai confini e puntare a esportare il proprio modello anche all’estero. Se necessario affilando le baionette. Putin, dal canto suo, in questi ultimi anni ha fatto l’esatto opposto. Con un’economia russa sulle ginocchia, ha cercato di ridipingersi un ruolo da leader impegnando denaro, uomini e mezzi nelle guerre del momento, tutte combattute con un duplice obbiettivo: guadagnare consensi e dividere l’Occidente. Finora l’operazione è riuscita, grazie anche alla contemporanea presenza a Washington di un presidente populista, prodotto dalla crisi derivante dal crac Lehman e poco avvezzo al galateo finora rispettato in sede Nato, l’alleanza che da oltre 70 anni difende un modello di vita, prima ancora che un blocco di Paesi. La verità è che l’attacco di Trump alle fondamenta dell’Occidente, derivante in parte dalla rabbia populista per la crisi economica provocata dalle elites cadute in disgrazia, ha finito col regalare a Putin e, soprattutto, a Xi Jinping un’opzione fino a ieri neanche presa in considerazione: imporre il proprio modello di sviluppo al mondo intero. Per la prima volta dalla caduta del muro di Berlino, quando sembrava che il globo potesse essere retto dall’unico sistema di valori che aveva vinto la sfida della storia, il modello liberal democratico non è più considerato vincente. Contano i soldi e la Cina ha dimostrato che la dittatura applicata al capitalismo funziona. Se cede anche l’Europa, orfana degli Usa, il gioco dei tiranni è fatto. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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