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Rodolfi e i
cantieri "divini"

Il vescovo Ferdinando volle una svolta negli edifici sacri: al parroco Dovigo suggerì lo stile neoromanico ma anche il professionista adatto, Ferruccio Chemello
La chiesa di Bolzano Vicentino 1925-’26. FOTO G.BRUTTO
La chiesa di Bolzano Vicentino 1925-’26. FOTO G.BRUTTO
La chiesa di Bolzano Vicentino 1925-’26. FOTO G.BRUTTO
La chiesa di Bolzano Vicentino 1925-’26. FOTO G.BRUTTO

Giovanni Brutto

In settembre Caldogno dedicherà una mostra al progettista dell’Ossario del Pasubio, l’architetto vicentino Ferruccio Chemello (1862-1943) che si interessò non solo di edilizia privata e pubblica, ma molto di quella religiosa. Alcune testimonianze del suo lavoro sono concentrate a Bolzano Vicentino: due edicole sacre e la chiesa principale.

DON ALBANO DOVIGO. A Bolzano, nel 1916, era arciprete un sacerdote di soli 34 anni, don Albano Dovigo (1881-1953) che, proveniente dalla curazia di Santissima Trinità di Montecchio Maggiore, portò una certa esperienza in fatto di abbellimenti e riatti edilizi sacri. Ferdinando Rodolfi (1866-1943), vescovo di Vicenza dal 1911 al 1943, il 22 febbraio 1916, lo assegnò a Bolzano per le improrogabili esigenze della parrocchia. Così lo ammonì: “Devi adoperarti perché la chiesa nuova sia presto un fatto compiuto”. All'indomani della fine della Prima guerra mondiale, don Albano si mise all’opera per trovare i finanziamenti. Bolzano Vicentino era terra a vocazione agricola, con modesto artigianato (bottai, calzolai, falegnami, fabbri, maniscalchi, sarti), gravata, a causa anche del latifondismo, da inenarrabile miseria. Accanto alle donazioni di prodotti della terra e della stalla, accanto alle numerose lotterie, egli indirizzò i suoi sforzi anche nel valorizzare l'edilizia sacra popolare, altro mezzo che, con lo svolgimento delle sagre legate ai santi e ai loro capitelli, gli avrebbe permesso di racimolare denaro.

Nel 1919, nella poverissima ma generosissima Crosara, fece innalzare una nuova edicola sacra dedicata alla Madonna delle Grazie, ariosa cappella di stile neorinascimentale. Ne affidò la progettazione ad un architetto, i cui I disegni dicono che essere di mano abile ed esperta: ai vertici dell'ideale quadrato che ne guidò la stesura della pianta, vengono posizionate le quattro colonne, reggenti la copertura a capanna, sul cui timpano frontale è inciso il millesimo : “A.D. 1919”.

Le pareti sono costituite da tre archi aperti di linea classica, mentre la quarta, sulle cui estremità sono presenti due paraste in posizione assiale rientrante rispetto a quella delle vicinissime colonne, è chiusa. In essa è stata ricavata la nicchia contenente la statua della Madonna delle Grazie con modesto altarino. Per la sua realizzazione venne utilizzata una moderna tecnica costruttiva: il conglomerato cementizio, dove il materiale inerte è formato da graniglia fine. Gli elementi stilistici riconducono ad altre produzioni simili a firma di Ferruccio Chemello.

Nel 1920, l'architetto Chemello arrivò fisicamente a Bolzano. Don Albano Dovigo che voleva ricostruire l'antica edicola sacra dedicata a S. Eurosia, in via Capitello, santa venerata per scongiurare nubifragi, temporali, grandinate estivi, gli conferì l'incarico. Lo si apprende dalla richiesta che lo stesso arciprete inoltrò, il 5 gennaio 1921, al vescovo Rodolfi. L'accurato esame del rilievo e la traduzione grafica, porta a verificare una comprovata esperienza professionale del progettista. La pianta è un ideale quadrato sugli spigoli del quale sono state innalzate sulla facciata due colonne, mentre sul prospetto opposto due paraste stringenti il dossale con nicchia, su cui è appoggiato l'altarino. In alto sul timpano della fronte principale, la dedica: “S. Eurosia ora pro nobis / A.D./1920”. Il tempietto neogotico costituisce un bell'esempio di architettura sacra minore.

IL VESCOVO RODOLFI. Dalla seconda metà del XIX secolo, dopo una lunga tradizione stilistico-architettonica che poneva in primo piano la linea neoclassica e neopalladiana, si assistette all'instaurarsi di un erudita archeologia di stili architettonici. Ci si riferisce, in particolare, al neogotico - il predominante - al neobizantino e al neobasilicale. All'ingresso del vescovo Rodolfi in diocesi di Vicenza, il 23 luglio 1911, due erano gli architetti che vi operavano: il veneziano Vincenzo Rinaldi e il vicentino Gerardo Marchioro (1850-1922). Il primo lavorò a cavallo tra Ottocento e Novecento nell'area bassanese, propugnando lo stile neogotico. Il secondo, eclettico, edificò un numero ragguardevole di chiese nel Vicentino, sostanzialmente aderente al neogotico. Questo stile, all'inizio di carriera, venne abbracciato anche dall'architetto Chemello che, con nell’interno del duomo di Piazzola sul Brenta (1910), ha lasciato un incontrovertibile documento.

LA CHIESA DI BOLZANO. L'exploit di Chemello avvenne nel 1922, anno in cui scomparve Gerardo Marchioro,in diocesi distinto progettista e costruttore di chiese. Ferdinando Rodolfi, vescovo dalla vivace intelligenza, dalla mente matematica, dal senso pratico, fu il sostenitore dello stile architettonico neoromanico-lombardo, quasi certamente influenzato dal natio paese di S. Zenone al Po (Pavia).

Questo ordine stilistico era da lui ritenuto il più consono, in quanto la fede cristiana praticata e vissuta in una chiesa romanica, quindi in una chiesa tendenzialmente spoglia di apparati, metteva più direttamente i fedeli in relazione con Dio. Parallelamente al cantiere del Collegio Vescovile Graziani a Bassano,nell'inverno del 1922-’23, si ebbe la stesura del progetto per la nuova chiesa di Bolzano.

Il 31 maggio 1922 il vescovo Rodolfi inviò all'arciprete Dovigo il seguente biglietto: “Mi congratulo della vittoria. Adesso avanti con la nuova chiesa. Ferdinando Vesc.”. La “vittoria” riguardava la definitiva chiusura della “causa–quartese” che a Bolzano si trascinava da oltre tre decenni. Il vescovo scrisse di nuovo a don Albano il 17 settembre 1922: “Caro Arciprete, prima di scegliere il disegno della nuova chiesa vorrei conferire con te, per esporti qualche mia idea. Vieni dopo il 5 ottobre. Mi credi. Aff.o Ferdinando Vesc.”. Trattasi della primogenita chiesa neoromanico lombarda di Chemello, scevra da ingombranti e inopportune intrusioni di fabbriche. Una chiesa a tre navate, tra loro suddivise da sei colonne, terminanti con absidi emicicle all'interno, ma poligonali all'esterno.

Al di là dell'intreccio equilibrato di archi a tutto sesto, di soffitti a botte, della calotta del presbiterio, del catino absidale, è la “luce” che, nella chiesa dell'architettura romanica viene considerata alla stessa stregua di un non sottovalutatile elemento compositivo. Tramite le lastre alabastrate delle finestre, la luce doveva entrarvi soffusa e in pienombra, determinandone, all'interno, un'atmosfera mistica, che avrebbe indotto il fedele al proficuo raccoglimento religioso e alla serena meditazione. L'esterno è elegante e vi contribuiscono l'alternarsi della fasciatura muraria in mattoni di cotto a faccia a vista con quella intonacata, la facciata tripartita in cui, nel settore centrale, campeggia il rosone con sottostante protiro, e nella quale svettano pinnacoli cuspidati, il fascio di paraste-lesene che a ritmi regolari scandiscono i fianchi e la “lattea” pietra bianca tenera dei Berici impiegata per le colonne delle bifore, per le colonnine degli archi rampanti posti a motivo decorativo nel comparto mediano della faccia principale e per quelli pensili che corrono tutt'intorno, in corrispondenza delle linee di gronda.

Sul presbiterio, niente tiburio, niente lanterna, ma solo, e, rodolfianamente, l'incrocio di due coperture a capanna, con il risultato di un tetto a otto spicchi di falda. Il cantiere per l'esecuzione della nuova chiesa di Bolzano Vicentino venne aperto nel marzo del 1925, una impresa titanica per la raccolta di fondi: fu aperta al culto l' 8 agosto 1926 e terminata il 18 settembre 1937 con la consacrazione–inaugurazione. Si spese oltre un milione di lire. Don Albano Dovigo, divenuto monsignore nel 1947, così esordì dal pulpito a chiesa ancora spoglia: “Ricordatevi, in questa chiesa nulla entra che non sia opera d'arte”.

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