<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Alla vigilia
della guerra

La panoramica dal Kaberlaba
nell’estate 1915: poi cambiò tutto

Gerardo Rigoni

Asiago fotografata dal Monte Kaberlaba nell’agosto 1915. Un'immagine che fissa un mondo che da lì a breve sarà distrutto. E non solo i campi, le contrade, le strade vicinali ma anche lo stile di vita della gente di montagna. Rappresenta tutto questo il pannello di 4 metri e mezzo al museo Le Carceri all'interno della mostra “Il Fronte Veneto della Grande Guerra – cento anni cento immagini”, voluta dal Consiglio regionale veneto e già esposta a palazzo Ferro Fini . In Aaltopiano è stata aggiunta questa maxifoto, visibile con tutte le altre fino all’ 1 novembre.

«E’ una foto scattata dai comandi del Regio Esercito dal Kaberlaba – illustra l'assessore alla cultura di Asiago, Chiara Stefani – Si vedono i campi coltivati che danno la misura della pace e sono riconoscibili tutti i luoghi e le contrade di Asiago e dintorni: una riflessione sul valore della pace». Campi coltivati non solo a fieno come oggi ma anche di farro, lino ed orzo (in particolare sul monte Catz, italianizzazione di Kranzenareck) oltre a varietà di mele, prugne e pere. Anche la pastorizia non comprendeva solo di bovini ma anche molti ovini (in particolare pecora di razza Foza).

Anche il bosco era diverso: oltre ad essere meno folto e meno prossimo alle case si contavano più abeti bianchi e larici mentre i boschi di faggio servivano soprattutto a fare combustibile invernale.

Con la distruzione anche degli alberi da parte degli eserciti, dopo la guerra si avviò una campagna di piantumazione per riparare i danni bellici alla vegetazione alpina, andata quasi completamente distrutta, con gli abeti rossi che dopo decenni di sviluppo necessario alla maturazione delle piante furono preziosi per il settore edile e per la costruzione di arredi.

Ma la distruzione e il cambiamento dei boschi e dell'agricoltura ha mutato radicalmente il modo di vivere degli altopianesi facendo scomparire anche certe “specialità” artigianali come la concia e la costruzione di scatole in legno, i mastellari, così come della lavorazione della paglia (la famosa treccia), la coltivazione di frutta e la raccolta dei frutti del bosco, usati nella distillazione di liquori e per gli sciroppi.

«Sono cambiamenti dovuti anche al fenomeno della modernizzazione – spiega Giancarlo Bortoli, appassionato storico dell'Altopiano – Sono però sopravvenuti in maniera radicale e veloce senza lasciare il tempo all'adattamento».

Bortoli, che sta redigendo un nuovo libro sulla ricostruzione del dopo guerra (titolo probabile “Ex Igne Splendidior”), ricorda anche come «il rimborso dei danni di guerra riguardò soltanto i boschi e gli edifici di malga, non lo sconvolgimento territoriale. La stessa bonifica dalle bombe inesplose fu incompleta, visto che il numero dei recuperanti morti a seguito delle esplosioni furono moltissimi». Circa la consistenza dei boschi del Consorzio « un documento sostiene che il danno fu stimato in 180.000 metri cubi di legname perduto: ma sembrerebbe poco visto che la cubatura corrisponde all’incirca a 70.000 piante mature – prosegue Bortoli – Da un documento della Camera del Commercio del 1924 si sottolinea come la produzione prebellica ascendeva a 40.000 mc di legname di cui la maggior parte trasportata in pianura. Mentre dopo la guerra si calcolava che si potesse ricavare per un ventennio appena il 15 per cento della produzione prebellica e per i boschi appartenenti a privati appena il 5 per cento. Già gesto dato dà idea di come la guerra cambiò il volto non solo orografico e morfologico dell'Altopiano ma anche la sua economia e i mezzi di sostentamento».

Suggerimenti