<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
IL DOCUFILM

«Come un padre», Carletto Mazzone simbolo del calcio che fu

La carriera ripercorsa su Prime Video con la testimonianza dei fuoriclasse Baggio e Guardiola, Pirlo e Totti

Galli in porta. Petruzzi, Di Biagio e Materazzi in difesa. I gemelli Filippini sulle fasce. E poi... voilà: Andreapirlo e Pepguardiola a dirigere le operazioni; Robertobaggio e Francescototti a inventare dietro a Hübner (o a Signori: scegliete voi). Questo il top 11 del docufilm dedicato a Carletto Mazzone su Prime Video. «Come un padre», per tutti quelli che hanno risposto presente alla chiamata della famiglia di Sor Magara. Tutti felici di rendere omaggio a un allenatore che «è nato il 19 marzo, il giorno della festa del papà: non può essere una casualità» (Pupone dixit).  Chiaramente non può esserci tutto Sor Carletto, in un’oretta e qualcosa: una vita intera per il pallone, una carriera senza eguali per longevità e passione... Troppo anche per una saga. Ma come in un bigino di qualità alta, di quelli con cui passeresti agevolmente anche un esame di procedura penale, c’è quanto è fondamentale sapere su uno degli allenatori più noti ma meno capiti della storia. Perché Mazzone - chi l’ha conosciuto e visto all’opera da vicino lo sa bene - è stato tutto fuorché un ruspante-punto-e-basta. Grintoso? Certo. Pittoresco? Ci mancherebbe. Ma oltre alle gambe (immortalate nella corsa epica verso gli ultrà dell’Atalanta allo stadio Rigamonti dopo il pareggio più vincente di sempre, in quella volata lanciata al grido del famoso «Se famo 3-3 vengo sott’a curva») c’è di più. Parecchio di più.

Mazzone ha collezionato più panchine di tutti in Serie A: 797

Sono 797 le panchine di Mazzone in A, più di tutti gli altri. Ha allenato al sud, al centro, al nord; squadre peninsulari e isolane, gregari e campioni. Dalla prima parte più fiction (l’unica fuori contesto per come è stata realizzata: infanzia e adolescenza potevano essere ripercorse tramite i racconti dei figli) emerge il calciatore che è stato, promessa della Roma capace di mettere radici ad Ascoli (scalzando un giocatore ascolano) diventandone capitano e leader, portandolo in A, facendosi apprezzare al punto d’essere subito assunto come allenatore quando un infortunio alla tibia l’ha costretto anzitempo al ritiro. C’è la lungimiranza del suo presidente di allora, Rozzi, indimenticato come Corioni che lo volle a Brescia e gli affidò il numero 10 più amato dagli italiani. E Mazzone è l’allenatore più amato dai fuoriclasse. Ascoltarli per credere. «Per lui mi sarei buttato nel fuoco» (Baggio). «Non so che carriera avrei avuto se non l’avessi incontrato» (Totti). «Mi ha aiutato tanto, insegnato tanto» (Guardiola). «Mi ha cambiato la vita cambiandomi ruolo» (Pirlo). Perché Mazzone era «un fine tattico, così moderno da variare il piano di gioco a seconda dell’avversario che aveva studiato nei minimi particolari, e altro che difesa: ci voleva all’attacco».

Leggi anche
Baggio al Lane: «Costava troppo ma ci provai»

Un carattere duro, ma anche affettuoso e protettivo

Dal docufilm - prodotto da 102 Distribution, Well Enough Film, CD Cine Dubbing e diretto da Alessio Di Cosimo - emerge il carattere di Sor Carletto: ora affettuoso e protettivo, ora dura e spigoloso. Nei ricordi di chi gli è stato accanto, dal fedelissimo Nicolini al dirigente degli anni bresciani Nani, fa capolino anche «il fratello, quello che è meglio non incontrare»: il Mazzone che si trasformava nei giorni delle partite, che si infuriava se qualcuno insinuava che il suo Perugia avrebbe reso la vita facile alla Juventus a un passo dallo scudetto e il suo Perugia vinse, consegnando lo scudetto alla Lazio: «Ci voleva un romanista per farvelo vincere...». Mazzone romanista fino al midollo, che diceva al suo pupillo Ranieri «Non sarai un allenatore vero finché non avrai salito i gradini dell’Olimpico da tecnico della Roma» e che trascinò i giallorossi a un 3-0 nel derby. Che si presentò a muso duro a Giannini («Mi dicono che decidi tutto te qua: sappi che con me non funziona così») ma dopo il ritiro estivo l’aveva già inquadrato meglio («Sai che c’è? Mi dicevano tante cazzate su di te»). Come con Guardiola: accolto a Brescia senza troppi complimenti («Io non t’ho voluto») eppure adottato da subito o quasi, dopo il primo faccia a faccia da uomo a uomo. Oltre al tecnico, prima del tecnico, c’è appunto l’uomo. Mazzone che dopo la morte dello Sceriffo, Vittorio Mero, disse alla squadra «Il nostro premio salvezza andrà alla sua famiglia». E così fu. Salvezza in A, una delle 3 conquistate a Brescia. Una delle perle di un’avventura ineguagliabile, simbolo di un calcio che semplicemente - per dirla con Totti - «era mejo».

 

Gian Paolo Laffranchi

Suggerimenti