<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
We are Lane

«Roby, non ti vuole nemmeno il Vicenza»

Che effetto sentire Fiorindo, il papà di Roberto Baggio, interpretato dal bravissimo Andrea Pennacchi, dire al figlio che non ha più nessuna squadra in cui giocare: «Non ti vuole nemmeno il Vicenza». È una delle rare scene del film Il Divin Codino, in cui si parla del mondo Lane in maniera corretta.

Tra qualche luogo comune di troppo sulla vicentinità (accenno al piatto risi e bisi) e qualche stonatura dialettale, per non parlare della gaffe sugli striscioni Ultrà al Menti, il film è piacevole, una storia che scorre sul rapporto non facile ma pieno di amore tra un padre e un figlio. Ed è proprio quel figlio che avrebbe potuto tornare a casa senza mai riuscirci o forse non lo voleva davvero. Troppo complesso il mondo di Baggio per capirlo davvero, troppo difficile trovare un dialogo senza filtri tra lui e i tifosi, tra lui e la sua terra. Allora meglio pensare a Roby come un giocatore del mondo, mondiale, anche senza aver alzato la coppa per un rigore sbagliato.

Ma più che l’analisi forse è il giorno della cronaca dopo aver visto il film su Netflix e ascoltato quella frase «Non ti vuole nemmeno il Vicenza». Mio figlio più piccolo Jacopo che ha 15 anni, seduto sul divano a vedere con me la storia umana più che sportiva di Baggio in Tv, mi ha guardato sparando gli occhi: «Papà, ma è vero?» Lo ammetto, lì per lì non ho saputo dargli una risposta definitiva, la questione è avvolta da tanti se e ma, anche se all’epoca della stagione 2000/2001, i contatti tra emissari del Vicenza di Reja e la famiglia di Baggio, ci furono. Di quella Vicenza ci restano le dichiarazioni pubbliche del Divin Codino e dell’allora direttore generale Rinaldo Sagramola. Baggio nel 2019 sul quotidiano La Repubblica aveva dichiarato: «Ho fatto di tutto per tornare a Vicenza ma non si crearono le condizioni, a distanza di tempo mi resta un grande rammarico».

Poi a stretto giro di posta arrivò la replica di Sagramola con un’intervista della collega Alberta Mantovani per Il Giornale di Vicenza. Il direttore spiegò nel gennaio del 2019: «Fu una situazione delicata che non andava affrontata a cuor leggero, così chiesi a Giulio Savoini, visto che lo conosceva e aveva con lui un buon rapporto, di contattarlo, cosa che poi fu confermata dallo stesso Giulio. Definiamolo un timido tentativo. Savoini mi riferì che non gli pareva ci fosse una disponibilità piena. Sarebbe stato devastante per la società se Baggio, vicentino e per tutto ciò che rappresentava, alla fine avesse detto di no perché le condizioni economiche che offrivamo non erano sufficienti». In poche parole costava troppo. Baggio andò al Brescia di Mazzone e a 33 anni trovò entusiasmo, gol e salvezze che sembravano impossibili. Quel Lane invece retrocesse in B.

Quel “costava” o “costa” troppo rischia di diventare una costante della storia del Vicenza, corsi e ricorsi storici pericolosi. È la differenza che passa tra costo ed investimento, perché è indubbio che quel Baggio al Vicenza avrebbe movimentato chissà quante attenzioni sportive ed economiche. Ma quella è un’altra storia. Il messaggio ai naviganti in tempo di mercato del Vicenza di oggi è semplice e deve per forza guardare al passato remoto o prossimo che sia. Perché spesso uno sforzo economico per rafforzare una squadra vale più di un rammarico postumo.

eugenio.marzotto@ilgiornaledivicenza.it

Suggerimenti