Piero Erle
TRISSINO
«Lo ripeteremo sempre: i Pfas a catena lunga, C8 a otto atomi di carbonio, noi qui alla Miteni non li usiamo più dal 2011. Ma se in un istante decidi che vuoi togliere tutti i Pfas, anche quelli a catena corta (4 atomi) blocchi il mondo. Togliamo lo stent a chi è stato operato alle coronarie? O gli antincendio agli aeroporti? Qualsiasi componente impermeabilizzata usa Pfas». Antonio Nardone, amministratore delegato di Miteni, vuole evitare toni polemici. Ma respinge l’ultima novità, e cioè che a un workshop europeo l’Italia ha chiesto all’Ue di eliminare tutti i Pfas dai cicli produttivi.
Cosa rispondete a quest’ipotesi?
«Praticamente nessuno ha limiti per i Pfas C4. Io ho sentito le dichiarazioni del governatore Luca Zaia in tv. Dice che l’ideale è avere l’acqua pura, tendere a “zero pfas”. Giusto, ma guardi che ci sono decine di acque minerali imbottigliate e in vendita che contengono arsenico, classificato potenzialmente cancerogeno, in milioni di nanogrammi. E poi in etichetta trovi i nitriti, che nello stomaco possono generare sostanze cancerogene. Cosa voglio dire? Che la questione per l’acqua da bere è che la quantità di sostanze rispetti i limiti.
E per Pfas non c’è un limite fissato dallo Stato.
Ricordiamo che non c’è dimostrazione di causa-effetto tra Pfas e una malattia specifica: sono indicati come “potenziali interferenti endocrini”. Come lo zucchero. È questione di dosaggio.
E come giudica la richiesta della Regione di abbassare i limiti per l’acqua potabile?
Chiedo: vale la scientificità, o vale l’ondata emotiva? I limiti si stabiliscono valutando quando c’è un’evidenza di effetto di una certa quantità sulla salute. Allora i C8 sono una cosa, e il Pfos è classificato con probabile effetto. Per i C4 non risultano effetti.
Quindi se si abbassano i limiti dei Pfas C8 a catena lunga Miteni non ha problemi?
No. Noi non li usiamo più dal 2011. Casomai questo purtroppo dà problemi a chi utilizza prodotti con Pfas.
Ma ci sono altri produttori di Pfas C8 che li vendono qui?
Ripeto: noi non li produciamo. E i C4 che produciamo adesso vanno in utilizzi elettronici, o di sicurezza, o sanitari, in particolare con un collirio. I C8 in questo momento vengono prodotti in Cina e vengono importati già miscelati: nella dichiarazione quindi non risultano, perché inferiori all’1 per cento. Però adesso il Tribunale superiore delle acque ha detto che tutti devono passare a usare Pfas C4.
Greenpeace dice che c’è un’alternativa nella produzione, e citano gore-tex o il gruppo Valentino.
In alcuni utilizzi si può trovare un’alternativa, e forse le case fashion possono permettersi costi diversi. Ma ci sono applicazioni dove i Pfas non sono sostituibili.
Miteni allora punta a cambiare la sua produzione?
Stiamo intensificando le ricerche nel capo farmaceutico e dell’elettronica, che sono settori strategici. E con molecole a minore impatto ambientale: questo rende più sostenibile la Miteni. Che tra l’altro è impegnata nei grandi costi di bonifica del sito e della falda, e nel rispetto dei limiti di scarico posti, dettati dal clamore del momento.
Si riferisce ai 5 milligrammi per chilo di terreno?
No, mi riferisco ai limiti di scarico del consorzio Arica: sono quelli dell’acqua potabile. E noi li rispettiamo anche per le acque di raffreddamento che vanno nel Poscola.
La Commissione d’inchiesta parlamentare dubitava di questo.
Hanno fatto confusione: l’ho scritto alla Commissione. Non hanno capito che noi filtriamo l’acqua prima, a monte del processo di raffreddamento. E l’Arpav controlla sempre: è qui anche oggi.
Sempre la commissione criticava i limiti troppo alti di scarico vostro al depuratore di Trissino.
Lo hanno abbassato di migliaia di volte. Ma il problema vero è che noi non siamo la sola fonte di pressione verso il consorzio Arica, se no le assicuro che oggi Arica scaricherebbe sotto i limiti delle acque potabili.
State bonificando i terreni? È l’inquinamento storico nato dalla Miteni, non l’attività di oggi, che viene considerata la fonte della concentrazione di Pfas.
Qui fuori vede i cassoni di terra che stiamo prelevando. Ma sia chiara una cosa: non è la falda della Miteni ad aver causato quello che c’è nella zona rossa. E glielo dicono i dati Arpav: ci sono due “sacche” di concentrazione a Lonigo e Cologna Veneta.
Ripeto: potrebbe essere stata la “storia” dello scorrere dell’inquinamento lungo la falda d’acqua.
Negli anni ’70 non c’erano depuratori, e abbiamo anche trovato rifiuti interrati allora nell’argine del Poscola di cui ci stiamo occupando. Ma le ripeto anche io: ci sarebbe un andamento dell’inquinamento più omogeneo. Invece le due “sacche” di concentrazione più alta sono laddove c’era lo scarico storico del “tubone” di Arica, a Lonigo, e poi dove è stato prolungato il “tubone”, nel Veronese.
I Pfas escono pure per via aerea?
Assolutamente no. Qui tutte le sostanze vengono aspirate e “bruciate” in un forno. E il camino è misurato h24, con l’Arpav che controlla.
Ipotizzate la plasmaferesi per i vostri dipendenti?
Il nostro medico ci dice che non è la soluzione, e in più ha a sua volta rischi che devono essere valutati.
Temete richieste di risarcimento, come accadde alla DuPont?
No. Non crediamo di avere responsabilità: collaboriamo con la Procura. La DuPont fece una scelta per chiudere la vicenda e tutelare il marchio. Qui con la strumentalizzazione politica che si è vista, l’impatto su Miteni c’è già stato. E ora, invece, nei suoi verdetti il Tribunale superiore delle acque la Miteni neanche la cita.