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Pfas: danni sulle donne Ciclo alterato e aborti

Ilprof. Carlo Foresta durante la presentazione di ieri
Ilprof. Carlo Foresta durante la presentazione di ieri
Ilprof. Carlo Foresta durante la presentazione di ieri
Ilprof. Carlo Foresta durante la presentazione di ieri

Marina Zuccon PADOVA I Pfas alterano la fertilità della donna, aumentano il rischio di aborto e incidono sui meccanismi che regolano il ciclo mestruale. È il risultato allarmante della nuova ricerca condotta dal prof. Carlo Foresta, direttore della Unità operativa complessa di Andrologia e Medicina della riproduzione della Università di Padova, assieme al dott. Andrea Di Nisio. Lo studio condotto da un’equipe di una trentina tra medici, ricercatori, biologi, e infermieri è durato due anni e ha dimostrato una correlazione tra alcune patologie riproduttive femminili e l’azione dei Pfas, sostanze chimiche di sintesi (perfluoroalchiliche) che contaminano l’ecosistema, trovate nelle falde acquifere delle province di Vicenza, Padova e Verona, soprattutto nella cosiddetta “zona rossa” che riguarda una trentina di Comuni. INFLUISCE SULL’UTERO. I Pfas inciderebbero soprattutto sulla funzione ormonale del progesterone, l’ormone femminile che regola la funzione dell’utero. In particolare possono interferire sul funzionamento dei geni endometriali attivati dal progesterone. Lo studio dimostra che, su più di 20mila geni analizzati, il progesterone attiva quasi 300 di questi geni. Ma in presenza di Pfas, 127 vengono alterati e tra questi quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione, quindi della fertilità. «La mancata attivazione di questi geni da parte del progesterone - afferma il prof. Foresta, che da poco è stato nominato anche al Consiglio superiore di sanità, sezione Inquinamento - incide sul ciclo mestruale e sulla capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione. Le conseguenze sono il ritardo nella gravidanza, la poliabortività e la nascita di bimbi prematuri». I DATI DELLA REGIONE. Anche un recente studio della Regione Veneto, come noto, ha confermato parte di questi risultati, evidenziando edemi o ipertensioni nelle donne in gravidanza, diabete gravidico, bimbi nati con basso peso e anomalie riguardanti il sistema nervoso e il cuore. Il prof. Foresta ha anche sottoposto un questionario sulla salute riproduttiva a 115 ragazze ventenni residenti nella “zona rossa” veneta e a 1.504 donne della stessa età non esposte invece a quell’inquinamento. Risultato: nelle ragazze esposte ai Pfas è emerso un significativo ritardo della prima mestruazione di almeno sei mesi e una maggiore frequenza di alterazioni del ciclo mestruale (ritardi del 30% nelle esposte rispetto al 20% della media). I PROBLEMI CREATI ANCHE AI MASCHI. Ma gli inquinanti ambientali non sono pericolosi solo per le donne. L’equipe di Foresta mesi fa infatti aveva già evidenziato come i Pfas alterino anche lo sviluppo del sistema uro-genitale dell’uomo e sulla sua fertilità, interferendo con l’attività del testosterone. «Conoscere dunque l’interferenza dei Pfas sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati - spiega ancora il professor Foresta – è sempre più importante, così come è urgente promuovere delle ricerche che favoriscano l’eliminazione di queste sostanze inquinanti dall’organismo, per evitare che possano influenzare negativamente anche le generazioni future. Non si può dire a chi è coinvolto in queste problematiche che non c’è nulla da fare, perché si può fare». I NUOVI STUDI: LE OSSA. E LA POLEMICA. Lo specialista ha quindi annunciato l’avvio di un nuovo studio per vedere se i Pfas agiscano negativamente anche sulle ossa evidenziando eventuali patologie dello scheletro. E anche questa ricerca, come le precedenti - ha evidenziato lo scienziato - non avrà finanziamenti pubblici. Particolarmente dura, ieri la critica sull’operato del vecchio Consiglio superiore di sanità da parte del professor Santo Davide Ferrara della Scuola di Sanità pubblica della Regione che si occupa della formazione post-laurea dei professionisti sanitari. «La Regione Veneto è stata coraggiosa nel proporre come intervento terapeutico alle persone residenti nelle zone rosse la tecnica della plasmaferesi. Nei soggetti che si sono sottoposti a questa è stato riscontrato un abbattimento a livello ematico dei Pfas, ma i tecnici dell’Istituto superiore della sanità hanno bloccato la sperimentazione, nonostante non fossero stati evidenziati effetti collaterali. Abbiamo presentato al Ministero i nostri risultati e le nostre valutazioni, incrociando numerosi dati. Ma stiamo ancora aspettando una risposta per poter andare avanti». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Marina Zuccon

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