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«La visita in Crimea è il ponte per la Russia»

Al centro il presidente Ciambetti con il primo ministro di Crimea, Sergej Aksënov,  quando arriva la notizia  delle esercitazioni Nato in Lettonia
Al centro il presidente Ciambetti con il primo ministro di Crimea, Sergej Aksënov, quando arriva la notizia delle esercitazioni Nato in Lettonia
Al centro il presidente Ciambetti con il primo ministro di Crimea, Sergej Aksënov,  quando arriva la notizia  delle esercitazioni Nato in Lettonia
Al centro il presidente Ciambetti con il primo ministro di Crimea, Sergej Aksënov, quando arriva la notizia delle esercitazioni Nato in Lettonia

Cristina Giacomuzzo

VENEZIA

Dovevano partire a settembre, ma il viaggio è stato rinviato. E così, per pura coincidenza, venerdì scorso si sono ritrovati nel cuore della Crimea, al centro di un caso internazionale, in un crescendo di tensione che ricordava la Guerra Fredda: da una parte la Nato e dall’altra la Russia. Motivo? La conferma dell’invio di soldati italiani in Lettonia. E, sullo sfondo, la minaccia della cyberg-guerra degli Usa con Mosca. «Mai pensavamo di capitare in mezzo ad un momento simile: eravamo a tavola con il primo ministro della Crimea quando abbiamo appreso la notizia», ricorda Roberto Ciambetti, vicentino, presidente del Consiglio regionale del Veneto. Lui era alla guida della delegazione di consiglieri leghisti veneti, liguri, emiliani e imprenditori partiti giovedì scorso da Milano per Sinferopoli, capitale della Crimea.

Presidente, il console ucraino ha scritto prospettando reati penali per chi avesse aderito alla missione: la Crimea è territorio occupato. E per la Farnesina quello era un viaggio «sconsigliato». Perché è partito?

Ecco, era «sconsigliato». Peraltro quelle lettere sono giunte ai nostri uffici quando eravamo già in aereo. Insomma, non c’era motivo per non andare: il Consiglio aveva votato a maggio una risoluzione per chiedere lo stop all’embargo e il diritto dell’autodeterminazione della Crimea.

Il presidente del Consiglio del Veneto, seconda carica in Regione dopo il governatore Zaia, partendo ha conferito alla missione un valore istituzionale.

Ma era questo il senso. Abbiamo voluto dare un segnale politico forte. Compito del presidente è onorare ciò che viene votato al Ferro-Fini: cioè, la risoluzione. Insomma, in quel viaggio non ho visto nulla di trascendentale.

Non è trascendentale che la Regione si occupi di politica internazionale?

No. E mi spiego. L’obiettivo del voto in Consiglio, e ora della missione, non è contro qualcuno, ma a favore dei rapporti economici per superare il muro delle sanzioni. Sanzioni che danneggiano l’economia veneta. Siamo stati i primi, tra le delegazioni che hanno fatto visita alla Crimea, a portare con noi politici anche gli imprenditori. Cioè Attilio Carlesso, presidente della Cantina di Soave, Marcello Veronesi, dell’omonima azienda agricola e Gian Antonio Bellati, direttore di Unioncamere del Veneto.

Non siete stati i primi, o gli unici, a pensare ad una delegazione in Crimea?

Siamo stati al centro dell’attenzione della stampa nazionale , ma non siamo stati i primi. Già imprenditori olandesi, tedeschi hanno avviato contatti. Prima di noi, poi, anche delegazioni di politici francesi e tedeschi.

L’obiettivo?

Creare un ponte attraverso la Crimea per avere crediti da spendere nel mercato russo. Non si tratta di un passaggio immediato e semplice. Ma è possibile. Ed è quello il nostro scopo. Abbiamo sottoscritto anche una “Dichiarazione di intenti”, abbastanza generica, nella quale ci impegniamo a tenere buoni rapporti e agevolare gli scambi commerciali che possono trovare interessi reciproci.

Concretamente?

Gli imprenditori che erano con noi hanno avviato contatti per aprire un canale verso la Russia, nei settori delle costruzioni, agroalimentare e vitivinicolo. Ad aprile la Crimea organizzerà un forum per moltiplicare gli incontri con gli imprenditori.

Ciambetti, torniamo a quel tavolo: un momento conviviale con il primo ministro della Crimea. Ecco che arriva la notizia del coinvolgimento dell’Italia con la Nato sul confine russo. C’è stata tensione o imbarazzo?

La tensione c’è stata solo quando un consigliere ligure ha perso i bagagli per colpa del cambio di areo. Il resto della permanenza è stata perfetta. Anche in quell’occasione la stampa nazionale mi ha chiesto se temevo di essere strumentalizzato. La mia dichiarazione? La ribadisco anche ora: trovo assurdo fare esercitazioni di questo tenore con il solo scopo di irritare un partner strategico per le regioni europee più dinamiche economicamente. Nato e Russia devono combattere il vero nemico: l’Isis.

Così il Veneto si smarca dalla posizione italiana e da quella Ue. È il primo assaggio della futura politica internazionale regionale?

La Regione è legittimata a sostenere la critica alle sanzioni internazionali perché creano danni alle imprese venete. Sul piano politico-istituzionale, anche durante la missione, abbiamo verificato come si fosse svolto il referendum del 2014. Dai nostri riscontri ci risulta che quella consultazione sia stata regolare. La conferma poi è arrivata dalla gente, per strada: lì si parla russo, lì si sentono russi. Eppure dalla metà degli Anni Novanta sono iniziate le tensioni: prima hanno tolto l’autonomia, poi hanno tagliato i poteri alle Regioni. Un po’ come sta succedendo in Italia con il referendum costituzionale.

È un parallelo pesante...

Ma lo confermo. Quando il primo ministro ci ha descritto la recente storia della Crimea, e in particolare la graduale riduzione del potere decisionale ai territori, mi ha ricordato quello che sta succedendo da noi: in Crimea hanno accentrato a Kiev. In Italia stanno tentando di farlo a Roma.

Ciambetti, per la sua scelta di non convocare il Consiglio giovedì e partecipare alla missione è stato criticato dal Pd. Come replica?

Non replico. Perché, come sul caso del Boeing Malese, scambiano fischi per fiaschi e, soprattutto, perché mi sembrano sordi alle istanze delle imprese venete che chiedono di superare l'embargo, un metodo ottocentesco per affrontare i problemi.

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