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Il secondo giorno

Quirinale, il diario dei vicentini. «Se Draghi è il punto fermo ora si affaccia Casellati»

Il deputato Pierantonio Zanettin, esponente di Forza Italia, esprime il voto
Il deputato Pierantonio Zanettin, esponente di Forza Italia, esprime il voto
Il deputato Pierantonio Zanettin, esponente di Forza Italia, esprime il voto
Il deputato Pierantonio Zanettin, esponente di Forza Italia, esprime il voto

Le telecamere sono puntate sull'aula dove c'è la processione dei grandi elettori che si disinfettano le mani, entrano nel catafalco, riemergono e infilano la scheda nell'insalatiera. Ma nessuno presta davvero attenzione al rituale che si celebra là dentro. Per carpire qualche informazione, per cogliere gli umori, ci si deve spostare appena fuori dall'aula: in quel lungo corridoio mozzafiato che è il Transatlantico. È qui che i parlamentari si ritrovano tra loro e, resistendo al freddo, visto che per evitare guai con il Covid tutte le finestre vengono lasciate aperte e si gira con cappotti e pellicce indossati, si scambiano pensieri, opere e omissioni. E ieri, nell'ennesima giornata di schede bianche e fumata nera, il chiacchiericcio ruotava sempre attorno ai nomi dei quirinabili che coprono tutte le lettere dell'alfabeto. Compresa la lettera d. Quella di Draghi.

Epperò chi è lì conferma ciò che si dice da qualche giorno e cioè che attorno al nome del premier c'è diffidenza diffusa tra i peones che affollano il palazzo. Anzi, a voler essere precisi, la diffidenza non è sull'autorevolezza della persona, considerata una spanna sopra tutti quanto ad autorevolezza. No, la diffidenza, forte, è su un suo trasloco al Colle. «Sì, questo è vero. Chiacchierando con tanti colleghi - racconta il deputato forzista Pierantonio Zanettin - posso dire che l'umore tra i parlamentari non è a favore di questa ipotesi». No, non è perché la maggior parte di loro con Draghi non ha mai scambiato mezza parola, ma è perché «c'è il grosso timore che il passo successivo alla sua ascesa al Quirinale siano le elezioni anticipate». E questa prospettiva, anche se questo Zanettin non lo dice, è da evitare come la peste perché per molti di loro vorrebbe dire non tornare più in parlamento. Ecco, l'ostilità verso Draghi presidente della Repubblica sta tutta qui.

 

 

Solo che il rischio esiste lo stesso. Pure se Draghi non dovesse andare a calpestare gli stessi metri quadrati calpestati in questi sette anni da Sergio Mattarella. Già, perché non sta scritto da nessuna parte che Draghi a palazzo Chigi ci rimanga a dispetto dei santi. Giacomo Possamai, per dire, prima ancora di fare la valigia per raggiungere Roma, aveva fiutato il rischio e fatto un ragionamento che si può sintetizzare così: occhio che se la partita viene giocata male rischiamo di azzoppare il nostro fuoriclasse che è Draghi e di doverci rinunciare di qua e di là, a palazzo Chigi e al Colle. E adesso che il capogruppo dem in Regione è sul posto, aggiungendosi assieme al presidente leghista del consiglio regionale Roberto Ciambetti alla squadra dei grandi elettori vicentini che comprende gli otto parlamentari, quel timore è tutt'altro che passato. «Il rischio esiste, è presente. Sì, perché non sta scritto da nessuna parte che Draghi continui a fare il presidente del consiglio a prescindere da qualsiasi presidente della Repubblica venga eletto. E a prescindere dal metodo utilizzato per arrivare all'elezione. Ma io non mi stancherò mai di ripetere che Draghi va preservato, in un ruolo o nell'altro, perché che piaccia o no oggi Draghi ci dà una credibilità agli occhi del mondo che non ha pari». Traduzione: se la maggioranza si spacca sul presidente della Repubblica, il governo salta. E se a questo aggiungiamo le richieste di rimpasto fatte da Matteo Salvini e che manca un anno al voto, si capisce perché non è così scontato che Draghi rimanga a palazzo Chigi. Dove tutti lo vogliono trattenere, ad eccezione del Pd, o parte del Pd, che fiutando il rischio di veder sfumare la carta di Draghi per sempre e per tutto, lo vorrebbe blindare al Colle.

Peccato però che i Cinque Stelle, alleati del Pd, non siano di questa opinione. Quantomeno non lo è Giuseppe Conte. Per Zanettin però il ragionamento è un altro: «Draghi è il punto di equilibrio, se si toglie il punto di equilibrio non è scontato trovarne un altro». Chiacchiere da Transatlantico si diceva. L'altra chiacchiera che andava per la maggiore ieri è che al di là della rosa ufficiale di tre nomi proposta dal centrodestra, quello vero e tenuto coperto è uno: Maria Elisabetta Casellati. 

Roberta Labruna

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