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VENETO

Sei anni dal referendum: l’autonomia va avanti, ma sempre più piano

Zaia vede il lato positivo: «Ora è al centro dell’agenda politica». Però oggi a Cittadella ci sarà l’incontro dei delusi dall’iter a Roma
La manifestazione del Comitato pro autonomia due anni dopo il referendum. Oggi gli attivisti si ritrovano a Cittadella
La manifestazione del Comitato pro autonomia due anni dopo il referendum. Oggi gli attivisti si ritrovano a Cittadella
La manifestazione del Comitato pro autonomia due anni dopo il referendum. Oggi gli attivisti si ritrovano a Cittadella
La manifestazione del Comitato pro autonomia due anni dopo il referendum. Oggi gli attivisti si ritrovano a Cittadella

Avanti piano. E con molta fatica. Sono passati esattamente sei anni da quando i veneti furono protagonisti di una pagina che resterà nella storia italiana. È l’unica regione infatti dove si è tenuto un referendum consultivo riconosciuto dallo Stato nel quale la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto (attenzione: non dei votanti, ma dell’intero corpo elettorale) disse sì alla “maggiore autonomia” della Regione, in applicazione peraltro di quanto scritto nella Costituzione italiana grazie alla riforma del centrosinistra del 2001. Votò pure la Lombardia, ma l’affluenza fu al 38% contro il 57% Veneto. Nelle urne disse sì il 98% di votanti veneti.

La fiammata e la lunga attesa

La storia poi è nota. Quattro mesi dopo il voto del 22 ottobre 2017, a Roma - finiva la legislatura dopo la bocciatura nazionale del referendum “renziano” - si giunse a una storica pre-intesa tra Governo e Regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia R.) per l’autonomia su 5 materie che oggi fanno sgranare gli occhi: lavoro, istruzione, sanità, ambiente e rapporti con l’Ue.

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Solo che un mese dopo la Lega vinse le elezioni ed entrò al governo con i 5Stelle, e l’illusione del governatore Luca Zaia e dei suoi fu quella di poter andare ben al di là delle pre-intese siglate col governo Gentiloni e puntare a tutte e 23 le materie possibili. Grazie al lavoro intenso del ministro Erika Stefani si giunse alle bozza di intesa Stato-Regione, ma i grillini bloccarono tutto. E delle pre-intese già siglate non si parlò più, perché il successivo governo Pd-5Stelle con il ministro Francesco Boccia decretò che ci voleva una legge-quadro che tracciasse i confini delle future trattative tra Stato e Regioni.

Lo stesso, col governo Draghi, disse la ministra Mariastella Gelmini. Poi è toccato al centrodestra col governo Meloni: il ministro Roberto Calderoli ha fatto le corse per presentare la legge-quadro. Ma ora è chiaro che anche con la legge approvata, prima che ci possa essere una trattativa Stato-Regione servirà che siano stati fissati i “livelli essenziali delle prestazioni” da garantire ovunque, e con le adeguate risorse.

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E servirà che Roma dia altri via libera preliminari. Il traguardo si allontana. In più in Senato tra audizioni ed emendamenti (anche FdI) sono passati mesi e ora sembra si stia rallentando ancora, per far strada al decreto Caivano sulla criminalità minorile: il sen. Paolo Tosato (Lega) è il relatore e sottolinea che la settimana scorsa si è riusciti a far votare alcuni emendamenti dell’articolo 7 (di 10). Il grosso è fatto, ma la strada è lunga.

Zaia: «Bene, ma accelerare»

Non ci sono più gli eventi di celebrazione dell’anniversario del referendum, ma il governatore Luca Zaia - vero trionfatore sette anni fa rispetto ai tanti che cercarono di frenare il referendum - ieri ha fatto sentire la sua voce.

E di fronte al governo di Lega e centrodestra ovviamente non alza certo i toni: «Il progetto dell’autonomia differenziata sta viaggiando a grandi passi. Non se ne parla più solamente nella società, nei giornali, nei media, nei dibattiti pubblici, ma è al centro dell’agenda politica del governo», è l’esordio di una sua nota.

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Zaia ricorda i 2,3 milioni di “sì” depositati nelle urne sei anni fa e ribadisce i punti sempre: non sarà “secessione dei ricchi” né “spacca Italia” ma «un processo di modernità, valorizzazione delle competenze e piena assunzione di responsabilità», e in più l’autonomia potrebbe dare allo Stato italiano un po’ più di quella efficienza che manca (la Cgia ieri ha ricordato che la malaburocrazia costa 184 miliardi l’anno).

Il governatore ringrazia il ministro Calderoli, l’on. Alberto Stefani segretario leghista veneto e presidente della bicamerale per il federalismo. Ma avvisa: «il Veneto si aspetta che i lavori possano procedere con celerità». Non sta accadendo.

Manifestano gli scontenti

C’è chi questa lunga vicenda non la manda giù, però. E non sono solo ex leghisti, segno forse che le recenti burrasche interne al partito di Salvini non sono passate. Oggi a Cittadella infatti, alla sala civica Torre di Malta, dalle 9.30 si tiene l’incontro “Veneto autonomo, realtà o illusione?” organizzato dal Comitato Veneto autonomo subito che è guidato dall’ex assessore regionale Marino Finozzi.

All’incontro interverranno il venetista Ettore Beggiato e i leghisti Roberto Marcato assessore veneto, Giuseppe Pan capogruppo regionale e Jacopo Maltauro consigliere leghista a Vicenza. I toni sono chiari: «il Veneto non molla» la legge che sta avanzando non va.

Quella dei “Lep prima dell’autonomia” viene considerata «una truffa: per poter garantire questi mitologici Lep mai visti finora sarebbe necessaria una spesa miliardaria che il bilancio dello Stato non sarà in grado di sostenere né oggi né mai».

E la dura sfida finale che si palesa è: “se non si applica la Costituzione sull’autonomia, perché applicarla sull’unità d’Italia?”.

Piero Erle

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