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Italia

Bruciata viva a 17 anni: condannato all'ergastolo l’ex fidanzato

Il delitto fu commesso a Caccamo la notte tra il 23 e il 24 gennaio del 2020. Temeva di essere lasciato e bruciò viva la fidanzata 17enne.
La foto della giovane sul suo profilo Facebook
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La foto della giovane sul suo profilo Facebook
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La corte d’assise di Palermo ha condannato all’ergastolo Pietro Morreale, il 21 enne accusato di aver tramortito e bruciato viva la fidanzata, Roberta Siragusa di soli 17 anni. Il delitto fu commesso a Caccamo la notte tra il 23 e il 24 gennaio del 2020. Un giallo durato pochi giorni: i carabinieri, da subito scettici sulla versione fornita da Morreale, ne disposero il fermo con l’accusa di omicidio pluriaggravato. Contro l’imputato, che ieri non era presenta alla lettura del verdetto, decine di indizi: dai 33 episodi violenti commessi contro la vittima nei mesi della loro relazione, a un video che riprese il cadavere bruciare e l’auto di Pietro a poca distanza, alle chiavi e al sangue di Roberta trovate vicino al campo sportivo, dove il corpo fu dato alle fiamme, alle macchie di sangue scoperte nella macchina.

Roberta Siragusa divorata dalle fiamme per 5 minuti

L’agonia di Roberta Siragusa, «andata in onda» a porte chiuse, in un’aula del tribunale di Termini Imerese durante l’incidente probatorio, è stata ripresa da una videocamera di sicurezza e ha raccontato la tragica fine della giovane, divorata viva dalle fiamme per 5 minuti. Pietro avrebbe assistito alla scena in macchina, poi avrebbe caricato il corpo e l’avrebbe buttato in una scarpata nella campagne di Caccamo.

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Lui temeva di essere lasciato

Secondo i pm, la coppia, che aveva avuto una lite durante una cena con amici, si sarebbe appartata vicino al campetto da calcio, lì Pietro, che non si rassegnava al fatto che la ragazza volesse lasciarlo, l’avrebbe colpita con un sasso, le avrebbe gettato addosso del liquido infiammabile che teneva in auto e l’avrebbe arsa viva. Poi avrebbe caricato i resti e se ne sarebbe disfatto buttandoli in una scarpata.

Pietro Morreale con Roberta Siragusa nella foto del profilo Facebook del giovane
Pietro Morreale con Roberta Siragusa nella foto del profilo Facebook del giovane

La versione inventata

Il giorno dopo fu lui ad andare dai carabinieri raccontando una storia incredibile: Roberta, dopo la lite, si sarebbe data fuoco e sarebbe caduta nel dirupo. Una versione che, oltre a essere poco verosimile, contrasta col fatto che l’imputato la notte del delitto, dopo aver ricevuto la telefonata dei genitori di Roberta, allarmati perché la figlia non era rientrata, aveva mandato al cellulare della vittima dei messaggi fingendo di non sapere dove fosse andata e dicendosi preoccupato.

La madre di Roberta: «Giustizia è fatta»

«Ha tolto la vita a mia figlia in quel modo atroce ed è giusto che non abbia mai più una vita. Ora la nostra battaglia per avere piena verità sulla morte di Roberta continua, deve pagare anche chi ha aiutato Pietro Morreale ad uccidere», ha detto Iana Brancato, la madre di Roberta Siragusa. «Giustizia è fatta. Non ci aspettavamo meno dell’ergastolo. - aggiunge - Ora Roberta può riposare in pace. Adesso bisogna cercare i complici». In aula ad ascoltare la sentenza c’erano anche il padre e il fratello della vittima e una trentina di amici, con la maglietta che raffigura il volto della giovane uccisa con scritto: «Giustizia per Roberta».

Per i legali Pietro Morreale non agì da solo

I legali della famiglia della vittima, Simona La Verde, Sergio Burgio, Giovanni Castronovo e Giuseppe Canzone, hanno chiesto alla corte di trasmettere gli atti per eventuali ipotesi di falsa testimonianza nei confronti di diversi testi: secondo i penalisti alcune deposizioni sarebbero contraddittorie e nasconderebbero complicità nel delitto. Pietro Morreale, dicono, non agì da solo.

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