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INTERVISTA IL DG DEL GRUPPO FERRETTO

Otello Dalla Rosa «La leadership ora non è individuale ma solo collettiva»

Otello Dalla Rosa direttore generale di Ferretto Group
Otello Dalla Rosa direttore generale di Ferretto Group
Otello Dalla Rosa direttore generale di Ferretto Group
Otello Dalla Rosa direttore generale di Ferretto Group

Alla complessità Otello Dalla Rosa si è allenato fin da quando questo termine non era minimamente associato alla vita aziendale. Laurea in fisica con una tesi sui modelli complessi di interazione tra radiazioni ed elettroni, ha poi proseguito la formazione in maniera trasversale, specializzandosi in management al Cuoa e Sda Bocconi. In Armes fin dal ’94, nel 2008 ne ha assunto il ruolo di direttore generale. Dopo un’esperienza in Euromeccanica, quest’anno è tornato al Gruppo Ferretto come direttore generale e consigliere delegato. Sabato alle 10 ai Chiostri di Santa Corona il manager vicentino sarà tra i relatori all’incontro dedicato dal Festival Città Impresa alla tematica dei “Nuovi leader per mercati sempre più complessi”.

Catene di fornitura saltate, sistemi logistici nel caos, scarsità di materie prime, impreviste reazioni dei consumatori: la complessità è stata resa ancora più evidente con la pandemia. Abbiamo imparato la lezione dell’imprevedibilità?

Purtroppo no, cerchiamo ancora di imbrigliare le variabili con ciò che abbiamo sempre ritenuto solido e saldo: le competenze, le conoscenze tecniche, la gestione dei dati. Ma non basta più. Perché ci saranno sempre aspetti imprevedibili e per reagire è necessario saper leggere la storia, la società, e deve cambiare un completo paradigma, non solo di management, ma anche di leadership. E per questo servono competenze interdisciplinari, e a leadership individuali debbono sostituirsi leadership collettive.

In un contesto sempre più complesso come è possibile avere capacità di visione?

Ci sono due modi: imparare ad imparare è il primo, ed è per questo che stiamo costruendo un’ Academy interna per tutti coloro che gestiscono persone o processi complessi, dal personale alla linea di produzione, in modo da formarsi, e formare. Sarà una sorta di ‘Wikipedia aziendale’ da arricchire con il know-how accumulato per meglio affrontare le crisi a venire, imparando metodi, procedure, sviluppando la capacità di leggere i segnali. Oggi tutti sanno interpretare la crisi dei materiali ma chi l’avrebbe detto che sarebbero costate tre volte di più? Ma abbiamo bisogno anche di leadership collettive, di abituare le persone a confrontarsi su tutto. Il nostro board operativo si incontra una volta alla settimana, non più una volta al mese, proprio per rendere più frequente il confronto sulle idee.

E come li sceglie i manager adatti ad affrontare la complessità?

Per me una squadra che funziona si basa sulla fiducia; quindi prima rima viene il valore dell’uomo, insieme ad una solida base tecnica o agli strumenti per costruirsela. Ma alla base deve esserci la, fiducia perché è la premessa essenziale per confrontarsi, anche su idee opposte, e quindi per migliorare, mettere in discussione il passato e fare meglio in azienda e sul mercato.

La complessità comporta anche di adattare le organizzazioni. Cos’altro prevedete di cambiare?

Penso ad organigrammi orientati per gruppi di lavoro molto trasversali con alla guida un team leader; una sorta di ‘matrice’ che sostituisca la classica organizzazione piramidale che crea dei silos: se uno è responsabile di un ufficio, di un singolo progetto, si concentra solo su quello. Invece è importante che per la buona riuscita di un progetto tutti giochino al meglio il proprio ruolo. I primi a mettersi sulla difensiva, in genere, sono i capi, ma oggi ci servono team leader, non capi.

Che ne pensa dello smart working?

Va utilizzato con cautela, in modo che non blocchi la contaminazione che genera innovazione e competitività e che si nutre nel confronto diretto tra le persone che vivono l’azienda.

Per stare al passo del cambiamento ha fatto spesso riferimento alla necessità di avere ‘menti d’opera’, più che manodopera, e ha sempre mantenuto un forte il legame con scuole e università. L’istruzione sta andando nella direzione giusta?

Assolutamente no; la scuola vive ancora di processi troppo rigidi che si devono seguire a prescindere dalle attitudini e dal talento. Finché non cambierà, devono essere le imprese a investire sulla formazione.

Ma per leggere la complessità bisognerà anche dare spazio anche a competenze non tecniche?

Sì, perché sarà necessario saper leggere i tempi, i cambiamenti. Dovremo dare spazio in azienda anche a competenze di storia, filosofia, arte, architettura, design. Come aziende dobbiamo essere in grado di raccontare una storia diversa, diventare attrattivi anche lavorando sulla qualità degli spazi e sulla bellezza. Non a caso le nostre ultime macchine per magazzini le abbiamo realizzate con il supporto della scuola italiana di design di Padova. Perché non basta più rispondere con proposte di maggior efficacia ed efficienza, serve anche la bellezza.

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Cinzia Zuccon