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INTERVISTA L’AD DELL’INDUSTRIA DI ARZIGNANO CHE SA FAR RENDERE GLI SCARTI DELLA CONCIA

Federico Neresini «Esg vuol dire che il piano di Sicit pensa al mondo dei nostri nipoti»

Federico Neresini amministratore delegato di Sicit
Federico Neresini amministratore delegato di Sicit
Federico Neresini amministratore delegato di Sicit
Federico Neresini amministratore delegato di Sicit

«Il progetto di Sicit si chiama Giacinto, come mio nipote. E il motivo è che è stato costruito pensando al futuro delle nuove generazioni». In fondo sta tutto qui il senso di essere un’azienda virtuosa per Massimo Neresini, amministratore delegato di Sicit, il gruppo che negli stabilimenti di Arzignano e Chiampo recupera i residui dell’industria conciaria trasformandoli in biostimolanti per l’agricoltura e ritardanti per l’industria del gesso. Creare valore per i soci ovviamente, ma anche per le persone che vi lavorano, l’ambiente e il territorio, questa è la policy. Si chiama “responsabilità sociale”, che però viene misurata. Di Esg, acronimo inglese che indica i criteri che misurano l’impatto ambientale, sociale e di buona gestione di un’impresa, si parlerà domani a S. Corona all’incontro “Esg, le strade già tracciate per finanza e industria” in cui Neresini sarà tra i protagonisti Le aziende con alte valutazioni Esg sono guardate con sempre maggiore attenzione dagli investitori, per i risultati e le garanzie che offrono. A patto che, sottolinea Neresini, il rating Esg non sia un’etichetta di cui fregiarsi, ma nasca da una spinta autentica a creare valore diffuso.

L’economia circolare è nel vostro core business, ma come viene declinata invece la responsabilità nei confronti dei vostri 140 dipendenti e del territorio?

Semplicemente ascoltiamo i bisogni. Tutti i dipendenti sanno che possono bussare alla porta dell’ad, dal top manager all’operaio turnista perché siamo tutti parte di una squadra che vince solo se lavora bene. Naturalmente abbiamo premi di produzione, welfare aziendale, ma soprattutto siamo sempre al fianco dei lavoratori. Durante la pandemia non abbiamo lasciato a casa nessuno, neanche in cassa integrazione, anche se lo stabilimento di Chiampo è stato chiuso per un mese e mezzo. Si sono fatte le pulizie, ridipinte le pareti e alla ripresa i lavoratori ci hanno ripagato con maggior impegno perché la fabbrica è “casa loro”. Lavoriamo per l’inclusione, al controllo qualità impieghiamo il 90% di donne, e al sociale destiniamo tra 200mila e 300mila euro l’anno, saliti a 720mila durante la pandemia.

Sustainalytics, agenzia indipendente per la valutazione di sostenibilità ha assegnato a Sicit un notevole Esg Risk Rating che raggiunge l’8% delle migliori aziende al mondo o per la chimica e l’agricoltura.

Abbiamo fatto un salto pauroso da quando Sicit è stata fondata nel 1960, ci ha fatto piacere, ma è il primo anno e questo numero deve essere solo migliorato.

Nell’anno del lockdown avete chiuso con un +11,5% di ricavi e anche quest’anno Sicit sta crescendo a doppia cifra. Anche il Mise vi ha premiato con un finanziamento di 3 milioni di euro per spingere l’innovazione. Quanto contano i fattori Esg nell’attrazione di capitali?

Soprattutto dopo la pandemia, un Egs elevato che esprime attenzione al sociale, all’ambiente e una buona visione di governance è importante. E tra qualche anno sarà fondamentale per ottenere finanziamenti o accedere a progetti di crescita.

Le società dell’economia circolare attraggono molto interesse in Borsa. Sicit ha esordito in Borsa con successo nel 2019, ma c’è rimasta solo due anni. Un arrivederci, non un addio, si è detto. Tra quanto?

Per i conciatori di Intesa Holding, in accordo con NB Reinassance, era importante ritornare ad avere la governance di una società industriale, e questa è stata la ragione dell’uscita dalla Borsa. Non abbiamo un orizzonte per tornarci, potremmo benissimo quotarci nuovamente tra 3-5 anni, ma sicuramente nel momento in cui saremo più forti rispetto alle condizioni della prima quotazione.

Avvierete il primo stabilimento all’estero nella Free Trade Zone di Tianjing, a sud di Pechino. Un contesto in cui ci saranno regole molto diverse da quelle europee, anche per il lavoro. Quale sarà il vostro approccio?

La Cina è un enorme paese con molte sfaccettature, la zona dove ci insedieremo ha regole ambientali molto più stringenti persino di quelle che abbiamo qui. È vero, è un Paese con regole diverse per i lavoratori e non possiamo non tenere conto che ci affiancherà un partner cinese che avrà il 22% della newco; non lo vorremo mettere in difficoltà perché qui trattiamo i lavoratori in maniera diversa, ma sicuramente qualcosa faremo per colmare il gap. E, voglio ricordarlo, tutto il know-how rimarrà di Sicit.

Cosa si sente di dire ad un’azienda che voglia intraprendere un percorso di valutazione Esg?

Che il presupposto non è rincorrere il vantaggio di un’etichetta: lo fai perché lo senti dentro, altrimenti non può funzionare. Serve un’etica di base che ha a che fare con il rispetto e la responsabilità per l’ambiente, le persone, le generazioni future, e quando ‘ci sei dentro’ il rating Esg arriva di conseguenza, insieme ai risultati.

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Cinzia Zuccon