<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
ARRIVANO GLI AMERICANI

Dentro alle "casermette" facendosi largo tra le lucciole

Se si pensa oggi agli americani a Vicenza, pare quasi che tra i Berici un’enclave statunitense esista da sempre, tra elogi e critiche, pettegolezzi e ammirazione. L’arrivo dei militari in città risale ai primi anni ’50, quando ancora si stanno raccogliendo i cocci della guerra appena trascorsa: non c’è tempo per piangersi addosso, e con le maniche arrotolate lungo i gomiti ancora si scava e si fa spazio tra le macerie. In questo tran tran quotidiano, subentra presto una novità: gli Americani a Vicenza, appunto. Sono ormai passati dieci anni da quando i soldati del 350° Reggimento di fanteria erano entrati nel capoluogo, il 28 aprile del ’45, salutati come liberatori tra le urla e gli applausi della folla. L’entusiasmo della prima volta è ormai sfumato, e le file di autocarri a stelle e strisce vengono ora accolte da una modica curiosità, con cui i vicentini si affacciano alla finestra e osservano gli ultimi venuti, chiedendosi per chissà quanto sarebbero stati i loro vicini di casa. Tra questi, anche Goffredo Parise, che così ricorda la scena nel 1955 anno in cui gli americani si insediano in quella che diventerà la cittadella della Ederle : «La sera del 13 aprile arrivarono quasi senza farsi sentire. Lunghe colonne di camion scesero da nord silenziose come un fiume lungo strade alberate, costeggiando bianche ville deserte ignorate nella notte, aprendosi un varco tra le lucciole». Come alieni piombati in tute da palombaro su mezzi corazzati, gli Americani a loro modo scuotono la vita della piccola cittadina. Ma come c’erano giunti? Occorre fare un passo indietro.

GUERRA FREDDA Il biennio 54-55 è fondamentale per l’Europa, che vede imbastire attorno a sé gli assi portanti di una Guerra fredda ormai entrata nel vivo. Nello stesso periodo a Vienna, al termine di una lunga occupazione, gli Alleati riconoscono a pieno titolo lo Stato austriaco, il quale si affretta a dichiararsi neutrale, in modo che le forze militari delle nazioni vincitrici siano costrette a lasciare l’Austria. Tocca allora agli Italiani, per via di accordi intercorsi tra il governo Scelba e la Casa Bianca, occuparsi di accogliere le truppe americane smobilitate dall’Oltralpe. Ecco allora che la caserma Ederle comincia ad ospitare i primi reparti yankee: da subito il luogo prende popolarmente il nome di “casermette”, ma nel giro di poco questo vezzeggiativo perde di qualunque senso, perché la base, lungi dall’essere una sistemazione provvisoria, diventa il centro principale della Southern European Task Force degli Stati Uniti. La convivenza tra vicentini e statunitensi è difficile da definire: quest’ultimi non sono né portati su un palmo di mano, né osteggiati in modo trasversale, ma la loro presenza non passa certo inosservata. In città molti incontrano per la prima volta dei militari dalla pelle nera, che attirano l’inevitabile stupore di chi ne aveva al massimo visti in foto. Qua e là, poi, ci si imbatte in americani d’origine italiana, che vengono mandati in perlustrazione nei bar e nelle piazze per fare conoscenza e farsi benvolere dalla gente del posto: si chiacchiera, si gioca a carte, si offre un giro di bianco. Di fatto gli ufficiali USA attuano numerose strategie per insediarsi al meglio nel territorio, anche a fronte della precoce campagna antiamericana messa in azione dal PCI. Si comincia allora ad assumere italiani in caserma, e si cerca di far interagire la comunità che sta fuori con quella di dentro, attuando una larga serie di iniziative al motto di “people to people”, che mira a presentare la comunità statunitense come una ricchezza per la città ospitante. Vengono organizzati scambi ufficiali, feste, incontri fra associazioni, e del resto non mancano le vicentine che s’innamorano di qualche soldato, e magari lo sposano. In generale si ammirano i primi elettrodomestici, le jeep, la musica importata, mentre nel frattempo i colli che circondano Vicenza diventano un labirinto di cunicoli e depositi nucleari, e di tanto in tanto scoppia qualche zuffa tra militari e locali.

I DUE LATI DELLA MEDAGLIA Si tratta insomma dei due lati di una medaglia complessa e contraddittoria, mai del tutto integrata nell’humus berico. Ma alla metà degli anni ’50 sono ancora lontani i tempi delle grandi manifestazioni antiamericane, le prime delle quali coincideranno significativamente con il ’68. Intanto la vita continua, c’è un’irrefrenabile voglia di ricostruire e quel decantato sogno d’Oltreoceano, che dal Dopoguerra in poi avrebbe segnato l’immaginario di intere generazioni, rappresenta per molti anche un modo rassicurante di guardare al futuro: a Vicenza più che altrove, l’american dream sembrava davvero possibile, vicino com’era, a due passi da casa.