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CAMPO DEA CARBONEA

A San Felice il primo stadio e una birreria come casa

Vicenza si affaccia al 1919 ferita dai lutti e dalla devastazione della Grande Guerra. Durante il periodo bellico era stata zona di retrovia per l’Esercito Italiano e per le Forze Alleate, e ora, abbandonata dalla moltitudine di soldati e di mezzi appare come una città fantasma. L’economia, che durante gli anni di guerra era stata sostenuta dalle spese militari, tracolla lasciando la popolazione in condizioni di estrema miseria e desolazione. Ma la volontà di ripresa è più forte delle difficoltà e il ritorno al calcio giocato rappresenta comunque il riappropriarsi di una vita normale. Già nei primi mesi del 1919 parte il progetto di ricostituzione dell’Associazione Calcio Vicenza, orfana di ben diciassette giocatori caduti al fronte. Il campo di Borgo Casale, requisito nel periodo bellico é ancora occupato da materiale militare ed è necessario reperire un altro terreno di gioco, la cui mancanza costringe il Vicenza a giocare le prime partite amichevoli in trasferta. Finalmente, tra mille difficoltà economiche e logistiche, si apre uno spiraglio di luce.

FINALMENTE IL CAMPO. L’imprenditore Giacomo Sartea, titolare dell’omonima Birreria e Fabbrica del ghiaccio (nonché Presidente del sodalizio biancorosso nella seconda metà del 1919 e dal febbraio 1920 Presidente Onorario n.d.a.), autentico mecenate del calcio vicentino, cede all’Associazione Calcio un terreno da lui recentemente acquistato, offrendo così alla squadra la possibilità di riprendere a pieno l’attività agonistica. Il campo si trova nella zona retrostante la Birreria Sartea di Borgo San Felice, sita in una graziosa palazzina in stile Liberty eretta nei primi anni del XX secolo su progetto dell’ingegner Silvio Caregaro Negrin. L’area messa a disposizione da Sartea risponde ai migliori requisiti: ha un’estensione di circa 16.000 metri quadrati, gode di un’ottima esposizione al sole e di un’ubicazione facilmente raggiungibile dai tifosi grazie anche alla prospiciente linea tramviaria elettrica, che ferma proprio davanti alla Birreria. Dal campo è possibile ammirare uno splendido panorama delle Prealpi vicentine, il Pasubio, il Novegno, il Cengio, il Paù e altri monti ancora insanguinati dai recenti combattimenti. Il campo di San Felice si stende con il lato lungo del rettangolo di gioco parallelo a Via Legione Antonini, da cui é separato da una fila di eleganti edifici, mentre il lato ovest confina con dei terreni agricoli. Originariamente posto a un livello più basso del manto stradale di Viale Verona a causa dell’estrazione di argilla da parte delle vicine fornaci Domeniconi, viene parzialmente innalzato con l’apporto di ben 8.000 metri cubi di scarti delle stesse fornaci e delle lavorazioni del vicino stabilimento chimico Montecatini (ex Magni n.d.a.).

 

 

LA SOTTOSCRIZIONE. La Presidenza costituisce subito un Comitato, che provvede a lanciare una sottoscrizione a fondo perduto di azioni da 25 o 100 lire, che ottiene un’ottima adesione di tifosi e generosi concittadini e che consente di sostenere le spese necessarie per le operazioni di livellamento e di adattamento del campo. Viene così predisposta la recinzione dell’impianto, la costruzione di un’elegante tribuna coperta lunga circa trenta metri con la base in mattoni, mentre la struttura e la tettoia sono realizzate in legno. Sotto la tribuna trovano spazio quattro vani, due a uso spogliatoio per le squadre con relative docce e due come abitazione del custode. Locali molto modesti, senza riscaldamento e acqua calda, che però rappresentano un vero lusso per il calcio del dopoguerra. Il generale Luigi Maglietta del Genio Militare (che succede alla presidenza dell’Associazione Calcio nella stagione 1929/1921) offre gratuitamente il supporto logistico, la fornitura di tubature per i locali adibiti a servizi e di legname per tribuna e spogliatoi. Vengono anche effettuati altri lavori di rifinitura, come la copertura di un fosso e l’abbellimento del vialetto d’ingresso che diventerà poi via Rattazzi. La particolarità che rende famoso il campo di San Felice è lo strato di scorie scure e polverose, provenienti dalla vicina Fonderia Beltrame, utilizzate per il livellamento e la stabilizzazione del terreno e che ricoprono l’intera superficie di gioco. Il compito del trasporto del materiale è affidato ai piccoli aspiranti calciatori che, con i visi sorridenti e le mani annerite, si guadagnano il permesso di palleggiare con la squadra titolare portando carriole di scorie dalla vicina fonderia fino al campo di gioco. I giocatori imparano ben presto a proprie spese che ogni caduta lascia il segno, sia per il colore nero che resta sulla pelle sia per le abrasioni procurate dal pietrisco, una condizione che impone loro di acquisire e affinare velocemente grandi doti di equilibrio. E’ così che la struttura di San Felice acquisisce per tutti il soprannome di “campo de carbonea”. Il Campo di San Felice viene inaugurato ufficialmente il 22 giugno 1919 alle ore 18,00, con una partita amichevole contro la Triestina, occasione per festeggiare patriotticamente il sospirato rientro delle terre redente e in particolare di Trieste nel Regno d’Italia.

LE POLEMICHE. Nel novembre del 1919, il Venezia si aggiudica la “Coppa Sartea” nella partita di finale contro il Vicenza con l’umiliante punteggio tennistico di 6 a 0 e contemporaneamente la stampa veneziana attizza la polemica – da parte di un anonimo giocatore nero verde che rispolvera la mai sopita rivalità tra le due squadre - per la riduzione del campo operata dalla dirigenza biancorossa, motivazioni che vengono spiegate dalla Commissione Tecnica vicentina in un trafiletto de La Provincia di Vicenza: “ … Restringendo il campo di soli dieci metri dalla sola parte della tribuna, abbiamo soppresso il pezzo di terreno più fangoso, riducendo così di assai la spesa per l’adattamento. Tutti sanno, e credo anche l’anonimo giocatore (se più non viene dai Campi Elisi), che purtroppo la nostra squadra non conosce affatto “ogni palmo di terreno di gioco, non essendo allenata a giocarvi sopra” avendo essa disputato pochissime partite sul nostro campo e moltissime invece sugli altri del Veneto. I risultati ottenuti fuori di casa sono di gran lunga superiori a quelli interni. E più il campo era ristretto e più la partita era ben giocata, anche se con terreno pesante. Nessun campo veneto, d’altronde, aveva le nostre dimensioni e dal 1902 in poi non avemmo mai un campo di 60 x 100 metri”. La polemica continua anche nei giorni successivi e il 1° dicembre viene pubblicata una lettera di risposta dell’anonimo accusatore …. “ …. potrei riportare qui le impressioni udite oggi a San Felice dalla grande folla; potrei anche rinfacciare il risultato della gara (sconfitta che brucia due volte perché il Vicenza soccombe in casa proprio contro il Venezia per 1 a 2 e perde anche il secondo posto in classifica n.d.a.) ma sorvolo e veniamo al dunque. Ripeto che la “triade tecnica” ha commesso un delitto sportivo allorquando, a metà campionato, ha avuto l’infelice idea di ridurre il campo. Mi piacciono quei “soli dieci metri” … forse che l’accorciamento potevasi fare di un chilometro! Corbezzoli, quanta generosità! A un certo punto le polemiche si placano, purtroppo non sapremo mai se i famosi dieci metri di campo siano poi stati ripristinati o meno, certo è che in un periodo di grandissime ristrettezze economiche e di casse societarie pressoché vuote, la manutenzione del campo rappresentava senza dubbio la spesa maggiore. Ma a giugno del 1922, durante la sospensione del campionato per la pausa estiva, il campo di San Felice è oggetto di lavori di assestamento. Verso la fine dell’anno l‘ex calciatore ing. Bruto Tessari, allora Presidente della “Pro Vicenza”, propone di riunire tutte le società sportive in una Federazione che promuova la ristrutturazione della pista di Campo Marzio per farne un grande e moderno impianto polisportivo dedicato alle corse ippiche, ciclistiche e motociclistiche, al football, al basket, al tennis, alla ginnastica all’aperto e persino una piscina per il nuoto. A marzo del 1923 viene esposto nelle vetrine dell’Albergo Roma il modello in scala 1 a 200 del nuovo campo sportivo progettato dall’ing. Tessari. I disegni e i montaggi sono a cura degli ingegneri Marola, mentre i fratelli Corà hanno realizzato le opere di falegnameria e intaglio. Per ultimo l’opera è stata dipinta dal cav. Pittarlin, mentre Bartolomeo Veronese si è occupato dell’impianto di illuminazione. Il progetto, forse troppo costoso, non verrà mai realizzato. Dopo la promozione dalla Terza alla Seconda Divisione, nell’agosto del 1924 viene parzialmente risistemata la vecchia tribuna. Nel mese di settembre del 1925, prima dell’incontro con l’Udinese, si tiene una cerimonia di commemorazione dei giocatori biancorossi caduti nella Grande Guerra con l’apposizione di una lapide in marmo al centro della nuova e bellissima tribuna in muratura, opera di Giuseppe Domeniconi e Vittorio Marchioro e del Direttore dei lavori ing. Gino Marola. Il decennio compreso tra il 1922 e il 1932 è sicuramente il più buio dei 119 anni di storia biancorossa anche per chi la vuole raccontare, con la squadra che sprofonda nelle serie minori e la stampa dell’epoca che riporta a malapena il risultato delle partite.

Anna Belloni