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L'intervista

Sabina Guzzanti e gli occupanti indigenti: «Un potente laboratorio per la democrazia»

Sabina Guzzanti: l'attrice, 58 anni, ieri sera era al Cinema Odeon (Foto Colorfoto)
Sabina Guzzanti: l'attrice, 58 anni, ieri sera era al Cinema Odeon (Foto Colorfoto)
Sabina Guzzanti: l'attrice, 58 anni, ieri sera era al Cinema Odeon (Foto Colorfoto)
Sabina Guzzanti: l'attrice, 58 anni, ieri sera era al Cinema Odeon (Foto Colorfoto)

Sabina Guzzanti - attrice notissima, scrittrice e regista soprattutto di documentari spesso al centro di risentite polemiche - ieri sera a Vicenza, al Cinema Odeon, ha presentato Spin Time-Che fatica la democrazia! Il film è ambientato in un palazzo romano di sette piani dal 2013 occupato da 180 famiglie.

 

Il suo interesse per il condominio si è acceso prima o dopo l'intervento del cardinal Krajewski, elemosiniere del Papa, che nel maggio 2019 mise le mani sui contattori per ridare la corrente elettrica tagliata a 400 occupanti indigenti?
È cominciato prima. Nei due piani interrati sono stati creati gli Spin Time Labs che ospitano un'intensa attività culturale (concerti, teatro) e formativa (numerosi corsi tecnici). Molti artisti dello spettacolo sono andati in quello spazio per esibizioni solidali. Io tra questi.

Che funzione aveva inizialmente lo stabile?
Era un palazzo dell'Inpdap, poi destinato alla vendita per sanare i bilanci e infine rimasto inutilizzato. Nel '13 il movimento Action inizia l'occupazione che dà un tetto a famiglie vittime della mancanza di lavoro, gravate da debiti e mutui.

Con il massimo gradimento del vicinato, è immaginabile.
Non si può negare che queste situazioni abbiano margini di rischio. Quello che mi ha colpito negli occupanti sono state le spinte al miglioramento.

Ad esempio?
I piani bassi a cui facevo riferimento, probabilmente adibiti alle riunioni degli enti, erano in uno sfacelo ripugnante. Gli abitanti, gradualmente, anche con i proventi reinvestiti degli spettacoli, li hanno bonificati. Ora sono spazi che ospitano un'attività davvero corposa. Che oltretutto ha migliorato i rapporti col vicinato.

Come è nata l'idea del documentario?
Una realtà così variegata - suore a contatto con trans... - e le dinamiche per arrivare a decisioni comuni dopo un confronto serrato, mi sono sembrate un eccezionale laboratorio di democrazia in tempi in cui rischia di diventare merce rara. Così ho dedicato alcuni mesi a mettere insieme una sceneggiatura (nella speranza che servisse anche a ottenere fondi, che poi raramente arrivano) e a farmi accettare dagli abitanti. Ho spiegato loro il progetto, ho chiesto la disponibilità ad apparire.

Un progetto ben strutturato.
Salvo che poi, come succede spesso ai miei documentari, la sceneggiatura è felicemente terremotata dalle novità che accadono.

Quanto tempo per le riprese?
Ho girato per 5 settimane con una troupe smilza, adatta a cogliere senza diventare invasiva, i delicati momenti di confronto, con i leader naturali che cercano d'imporsi.

Allora è vero che la democrazia è una bella fatica?
Dove s'innescano rapporti vitali naturalmente emergono le opinioni di parte, i luoghi comuni, i rancori. Per alcuni ero diventata la confidente-confessora. Poi però le cose finiscono per appianarsi quando c'è un progetto per migliorare.

Come favorire questo processo?
Anche con alcune "tecniche". Gli spettacoli allestiti dalla regista greca Cristina Zoniou in cui si applica il brazileiro Teatro dell'oppresso, e in cui sono stata coinvolta, consentono di portare alla luce il significato profondo dei ruoli e di limitarne gli aspetti destabilizzanti.

Basta per trovare una via d'uscita a situazioni così complesse?
Bisogna avere fiducia. Gli abitanti erano stupiti, qualcuno anche insospettito, per l'intervento del cardinale Krajewski. Ma l'intervento c'è stato e alla fine è stata una gioia per tutti.

Enzo Pancera

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