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Teatro

L'incanto d'infanzia dell'Histoire du soldat è favola nella favola

L'Histoire du soldat (Foto Dalla Pozza)

È questione di punti di vista. Ogni vera opera d'arte ammette di essere illuminata da più di un'angolazione e rilascia così significati differenti. Giancarlo Marinelli, nel dirigere l'Histoire du soldat che ha inaugurato ieri sera il 74° Ciclo di Spettacoli classici all'Olimpico, ha scelto lo sguardo incantato dell'infanzia. Per almeno due buone ragioni: perché il testo di Charles Ferdinand Ramuz a cui Igor Stravinsky ha abbinato le sue musiche sghembe e potenti, è effettivamente una combinazione di due favole della tradizione popolare russa, e perché, come ha scritto il regista, per lui l'Histoire è, prima di tutto, «una favola che mia madre mi raccontava nel grande salotto della casa di famiglia affacciata sui boschi». E così, nella scia di un'autobiografia che pilota la rappresentazione, tocca a un bambino, il bravissimo Sebastiano Masello, portare i protagonisti in scena. È la sua fantasia che allestisce lo spettacolo, perché essa sola può far scomparire il solenne proscenio palladiano a favore di una frondosa foresta, di un bosco ceduo, di un villaggio di case a graticcio, di fresche cascatelle che piovono dal podio di due statue. E poi, in un erompere di sfrenata creatività, farlo attraversare da aeroplanini e pesci meccanici, cinghiali, cervi e dromedari, trapuntarlo di stelle e galassie. Magie vere del videomapping a cura di Francesco Lopergolo. Poi, certo, non manca quel tanto di malizia adulta che infila tra le fronde mostri di Bosch, paesani di Brueghel e i ritratti di Arcimboldo tutti frutta e fiori. Ma è ancora il bambino a vedere nel direttore d'orchestra una principessa, perché così è vestita Beatrice Venezi chiamata a guidare sette strumentisti dell'Orchestra del Teatro Olimpico. E' lui, idealmente, a far piroettare, quasi fossero pupazzi, i tre bravi danzatori, Andrè De La Roche, Antonio Balsamo e Giulia Barbone, rispettivamente il diavolo, il soldato e la principessa del racconto, con il primo anche autore delle coreografie. Certo ne viene una versione coloratissima e deluxe dell'Histoire, spettacolino in origine itinerante a basso budget ideato nel 1918, nel tempo del tribolato primo dopoguerra. "Teatro della povertà" lo definiva da Pierre Boulez. Non così all'Olimpico, e non poteva essere altrimenti.

E poi c'è il narratore, Drusilla Foer, in una lunga tunica bianca. Che è il vero centro dello spettacolo, perché è fuori e dentro la narrazione. E' la madre che racconta ed è protagonista, quasi fosse colei che fila la trama che accende la fantasia del bambino, per rimanere ella stessa irretita da quella fantasticheria. Perché Drusilla, personaggio creato dall'attore Gianluca Gori, è narrazione, come tutti noi. Il narratore dell'Histoire è sempre impegnato a dare differenti voci ai diversi personaggi che parlano, all'ingenuo soldato Giuseppe, al diavolo che in molte forme e molti modi lo inganna, al re che promette in sposa la figlia malata a chi la guarirà, alla principessa stessa. La sprezzatura dell'aristocratica Foer trapela nei passaggi narrativi; la voce si muta estatica per il soldatino, si fa roca per il diavolaccio. Ma l'immedesimazione è frenata, forse perché Drusilla è già personaggio. Bellissimo però assistere alla coordinazione tra le parole scandite e i mimi dei ballerini, quando la frase si abbina in perfetto sincrono al movimento.

Il fronte scena olimpico, con le tre porte velate per dare continuità alla videoproiezione, ritorna solido muro nell'ultima scena, che non a caso si svolge nel palazzo del re. La multivisione tace, ma la magia non è finita. La fantasia ha semplicemente materializzato il teatro, dove l'ultima sfida tra diavolo e soldato sembra volgere a favore di quest'ultimo (anche se la scena con la slot machine, mentre il testo parla di carte, è curiosa ma gratuita e non si comprende bene cosa annienti il demonio, perché non lo si vede bere e ubriacarsi). C'è anche una morale, che poi sarebbe semplicemente "accontentati di quello che hai", morale da cui pare dissociarsi il Marinelli adulto che ha anche riadattato il testo di Ramuz o da cui forse si dissociava anche il Marinelli bambino, intollerante all'ammonimento, fragile pretesto di una rigogliosa gestazione fantastica che ha un valore in sé.

Solida la parte musicale, con Beatrice Venezi che ha gesto a tratti di difficile decrittazione, ma può contare su un ensemble coeso di ottime prime parti, che hanno risolto con maestria l'insidiosa partitura del russo. Un plauso al violinista Filippo Lama, affidabilissimo, di cavata sempre espressiva, che ha lunga pratica con la partitura e apporta un contributo fondamentale. Pubblico di circa 200 persone (per le restrizioni Covid), entusiasmo e meritati applausi a tutti gli interpreti. Si replica, sempre all'Olimpico, oggi, domani e domenica, con inizio sempre alle 21..

Filippo Lovato

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