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In sala

«The Zone of Interest» e l’antiretorica del male

Con Jonathan Glazer nella bucolica quotidianità della vita famigliare di Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz: un film potentissimo e visionario sull'orrore assoluto
La protagonista Sandra Hüller nel ruolo di Hedwig Höss
La protagonista Sandra Hüller nel ruolo di Hedwig Höss
La protagonista Sandra Hüller nel ruolo di Hedwig Höss
La protagonista Sandra Hüller nel ruolo di Hedwig Höss

Sul red carpet di Los Angeles, tra una decina di giorni, porterà a spasso la bellezza di cinque candidature e la fondata speranza di mettere le mani su almeno un paio di Oscar (quasi sicuramente quello che andrà al miglior film straniero, con buona pace di Matteo Garrone, ma ci sono buonissime probabilità che la spunti anche nella categoria «best sound»). Jonathan Glazer e il suo «The Zone of Interest» ne hanno fatta di strada dalla Croisette di Cannes del maggio scorso, quando furono in molti ad appuntarsi il titolo del quarto lungometraggio del regista inglese. Da una settimana «La zona d’interesse», tratto dal romanzo omonimo di Martin Amis, ha finalmente bussato anche alla porta delle nostre sale, mettendo a referto una prima settimana di programmazione di tutto rispetto (110mila spettatori, secondo per incasso alle spalle di «One Love», il biopic su Bob Marley) e piazzandosi dunque in scia alle tante sorprese di questa mirabile stagione («Past Lives», «Il ragazzo e l’airone», «Perfect Days» e fratelli minori).

Contenuti e intenzioni
Eppure non stiamo parlando di un film fatto per essere addomesticato, che va incontro a certi bisogni da intrattenimento borghese o da lezioncina consolatoria. «The Zone of Interest» è un’opera durissima, cupa, terrificante nel senso etimologico del termine. Il contesto di vita famigliare dentro al quale ci viene presentato Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, che per anni ha vissuto con la moglie e i cinque figli a due passi dal male assoluto, e che fu impiccato nel 1947 all’interno del lager che aveva contribuito a rendere così efficiente, è una dimostrazione perfetta, asettica, spietata, inquietante della teoria della banalità del male. Glazer indugia ossessivamente sulla quotidianità di casa Höss: le gite in barca, il compleanno del padre, i bimbi che giocano, il grande e rigoglioso giardino del quale frau Hedwig (una mai meno che magnifica Sandra Hüller) va così fiera, i brindisi, le colazioni. Impossibile non percepire la violentissima frizione tra il come e il dove. Ma il film è molto più di questo, molto altro. La spaventosa grandezza sta altrove: è il modo in cui l’orrore incombe su ogni inquadratura, su ogni sequenza, su ogni dialogo, attraverso un montaggio sonoro magistrale, attraverso l’utilizzo degli spazi marginali del campo visivo, di una serie infinita di fugaci dettagli, che rende «The Zone of Interest» un’esperienza così angosciante.

Lo spettatore «complice»
Noi sappiamo cosa succede dietro a quel muro che separa i roseti dal campo di sterminio. Sappiamo cosa trasportano quei treni che ogni tanto sbuffano sullo sfondo. Sappiamo che cosa significano quel fumo nero e spesso, quelle fiamme infernali che si affacciano dai camini, quell’odore acre che costringe a mettersi la mano davanti al naso e alla bocca. Sappiamo di chi sono quelle urla, a chi sono rivolti quegli ordini perentori, da dove vengono i denti d’oro, gli abiti usati, la pelliccia e il rossetto, la cenere per concimare le piante e i fiori. Sappiamo chi cade colpito da quegli spari in lontananza, chi impugna quelle vanghe, chi spinge quei carrelli, chi sarà inghiottito dai nuovi e più tecnologici forni dei quali il blockführer discute con alcuni ingegneri mentre i bambini si godono lo scivolo della piscina. Siamo noi a dare forma e sostanza di realtà al lato oscuro della pellicola. Glazer ci chiama al banco dei testimoni, fa leva sulle nostre coscienze, sulla nostra memoria, nutrita in gran parte dal cinema oltre che dai documentari, per farci sentire tutto il dolore, tutta la rabbia, tutto il peso, tutta la pena, tutta la disperazione che si possono provare di fronte a uno dei più terribili crimini mai commessi contro l’umanità. Difficile misurare in termini meramente critici «The Zone of Interest», ma l’esperienza di essere coinvolti - perché di questo si tratta, di essere coinvolti - è tanto disturbante quanto persistente. Un’opera coraggiosa che distogliendo lo sguardo ci mostra ancora più chiaramente tutto quello che dobbiamo vedere, che si concede il lusso dell’astrazione e di un finale-squarcio che si appella al presente. Potentissimo e visionario.

Luca Canini
letterboxd.com/RivBea79/

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