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In sala

«Past Lives» di Celine Song: molto più di una storia d’amore

Tra Seoul e New York un debutto romantico sulle ali della nostalgia. Nella prima settimana di programmazione è stato il titolo più visto davanti al fenomeno «Poor Things!»

Ci ha impiegato più di un anno ad attraversare l’Atlantico, ma a dodici mesi abbondanti dalla prima al Sundance, e a sette e spiccioli dal debutto nelle sale americane, finalmente la Lucky Red ha deciso che «Past Lives» meritava un’occasione anche in Italia. Scelta azzeccata, dicono i numeri: nella prima settimana di programmazione è stato il titolo più visto davanti al fenomeno «Poor Things!», che è a spasso dal 25 gennaio e che continua a macinare incassi, e al deludente «Madame Web».

Un miracolo o quasi considerando che parliamo di un film romantico per metà parlato in coreano. Ma dopo i fasti dei «Perfect Days» di Wim Wenders, il trionfo di Miyazaki e il botto di «C’è ancora domani», non stupisce più di tanto che l’opera prima di una regista nata dalle parti di Seoul e cresciuta in Canada, la 36enne Celine Song, sia riuscita a fare breccia nel cuore abitudinario del pubblico italiano. Qualcosa sta forse cambiando in meglio dopo il baratro della pandemia, con le risposte che arrivano dal mercato che sembrano indicare un ritorno al cinema vero, quello della sala, nonostante il proliferare costante delle piattaforme e delle occasioni di svago a misura di salotto.

Che continuano a rappresentare una certezza insostituibile, anche a livello produttivo e distributivo, in un sistema sempre più osmotico e integrato, ma fanno fatica (vivaddio!) a rimpiazzare in toto l’effetto grande schermo. Certo, è presto per parlare di fenomeno di lunga durata, ma fa piacere che i giorni in cui solo Spider-Man e parenti stretti riuscivano a schiodare gli spettatori dal divano siano (per ora) un ricordo.
 

Di cosa stiamo parlando

«Past Lives» e Celine Song, dicevamo prima di divagare. Con il nome della benemerita A24, che ormai significa garanzia assoluta, alla casella «distribuito da»; mentre al volante della produzione c’è la CJ ENM, uno dei motori della new wave coreana. D’altronde il film, l’abbiamo già detto, ha una doppia anima. Nora, la protagonista, cresciuta come Na-young, a 12 anni viene strappata agli affetti e alla città che chiama casa dalla decisione dei genitori, simile a quella di tanti altri coreani, di emigrare a Toronto.

Una seconda vita tutta da inventare, lontana dai volti famigliari, dalle radici, e da Hae-sung, il compagno di classe al quale è legata da un tenero amore. Passano altri 12 anni e ritroviamo Nora a New York, sposata con uno scrittore americano e all’apparenza perfettamente a suo agio nella parte della donna che ha fatto i conti con le ombre del passato. All’apparenza perché l’incontro con l’Hae-sung ormai diventato uomo - i due si erano tenuti in contatto ma non si erano più rivisti da allora - rimette tutto in discussione, apre uno squarcio nostalgico in una serie di certezze date troppo presto per solidificate.

Perché la vita è un processo, un continuo divenire, e non un traguardo. Ed è qui che sta la delicata e toccante lezione di «Past Lives», che Nora è costretta a imparare durante una settimana a contatto con un corpo che non conosce ma dentro al quale si nasconde il suo primo amore. Sette giorni per capire che non è così facile smettere di amare; che si può essere innamorati in tanti modi; che i legami di affetto sono una questione complicata; che le decisioni, anche quando sono (o sembrano) giuste, inevitabili, hanno un prezzo; che ripensare la propria identità dopo il trauma dell’immigrazione è un dolore profondo, costante, inevitabile. Un film struggente, un groppo al cuore. Tenuto in piedi, oltre che dalle carezze della regia, dalla chimica miracolosa tra Greta Lee (Nora), Teo Yoo (Hae-sung) e John Magaro (Arthur, il marito americano).

Messi nelle condizioni di vivere i personaggi anche grazie a una serie di crudeli accorgimenti. Un paio di esempi: a Greta Lee e Teo Yoo era vietato toccarsi fisicamente sul set, in modo da aumentare il loro imbarazzo e la loro diffidente complicità durante le riprese, mentre John Magaro e Teo Yoo si sono incontrati per la prima volta dal vivo nella prima scena in cui si incontrano nel film. Il cinema che si fa vita, la vita che si fa cinema. Da vedere con gli occhi lucidi fino all’ultimo sospiro. Meglio, molto meglio, se in lingua originale.

Luca Canini
letterboxd.com/rivbea79/

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