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In sala

«Napoleon», amore e guerra nel kolossal di Ridley Scott

Un biopic grande nei numeri e grande nella durata che nella versione in pellicola si ferma a «soli» 157 minuti, ma che in primavera sbarcherà in streaming su Apple+ nel montaggio originale che dovrebbe sfondare il muro delle quattro ore
Joaquin Phoenix interpreta Napoleone Bonaparte nel film di Ridley Scott
Joaquin Phoenix interpreta Napoleone Bonaparte nel film di Ridley Scott
Joaquin Phoenix interpreta Napoleone Bonaparte nel film di Ridley Scott
Joaquin Phoenix interpreta Napoleone Bonaparte nel film di Ridley Scott

Di Napoleone è piena la storia del cinema. Con l’inconfondibile petit chapeau e la mano destra infilata nel gilet, il profilo dell’imperatore ha proiettato la sua ombra su capolavori veri e mancati, su progetti inseguiti a lungo e mai realizzati, su mega produzioni, su caricature grottesche, su film più o meno laterali.

Si va dalle cinque ore dell’inarrivabile «Napoléon» di Abel Gance (1927), una delle più incredibili imprese cinematografiche di tutti i tempi, alla «Maria Walewska» di Greta Garbo che fa le fusa tra le braccia di Charles Boyer (1937); dal Bonaparte in formato Marlon Brando protagonista di «Désirée» (1954), al «Napoleone» molto poco regale di Renato Rascel, prima una canzone («Napoleon, Napoleon, Napoleon / nel caffellatte io c’intingo tre cannon») e poi un film con Raimondo Vianello nell’uniforme del generale Cambronne (1951); dalla «Waterloo» di Rod Steiger (1970), al Woody Allen di «Amore e guerra», con James Tolkan a prestare voce e viso a un Bonaparte irretito dal fascino di Diane Keaton (1975); dal Virzì di «N (Io e Napoleone)» (2006), al Matthieu Kassovitz della serie «Guerra e pace» (2016).

Ultimo in ordine di tempo a iscriversi al club dei folgorati sulla via di Ajaccio, il signore di tutti i kolossal Ridley Scott, arrivato in sala in questi giorni dopo un battage pubblicitario degno di cotanto sforzo (oltre 200 milioni di dollari di budget); un biopic grande nei numeri e grande nella durata che nella versione in pellicola si ferma a «soli» 157 minuti, ma che in primavera sbarcherà in streaming su Apple+ nel montaggio originale che dovrebbe sfondare il muro delle quattro ore. Dalla decapitazione di Maria Antonietta all’esilio di Sant’Elena: ambizioni tante, difetti pure. Ma non tutto è da buttare, con momenti decisamente buoni (pochi) e un «poteva andare peggio» che vale un sei in pagella tendente al sei più.

Cosa funziona?


Joaquin Phoenix. Che quando c’è da fare il complessato con la sindrome del mammone e con parecchie questioni irrisolte a livello di controllo della rabbia e delle frustrazioni, oltre che una disastrosa educazione sentimentale, è l’attore giusto al quale rivolgersi. Il suo Napoleone ha poche facce ma tutte giuste, in un lavoro di sottrazione che esalta i vari contesti: quello eroico-sanguinario da generale, quello ufficiale da corte di rappresentanza, quello privato-domestico da marito. Ma non è solo grazie a Phoenix che stanno (più o meno) in piedi le due ore e quaranta di «Napoleon». Le scene di battaglia (bellissime le sequenze sia di Austerlitz che di Waterloo), il ritratto della vita di palazzo (l’incoronazione filologicamente modellata sul dipinto di Jacques-Louis David è una delizia), l’innamoramento e il divorzio della coppia imperiale: i momenti ispirati non mancano.

Cosa non funziona


Peccato per l’eccesso di accanimento, con vette di sentimentalismo da soap sudamericana di terza visione, sulla figura di Joséphine (ammirevole per sincerità e impegno Vanessa Kirby), il vero centro narrativo - ahinoi - della pellicola; uno sbilanciamento che forse è anche figlio della scelta di sforbiciare qua e là le quattro ore montate da Scott, con l’inevitabile sacrificio richiesto alla componente storica. Il risultato è un film sconnesso e di grana grossa, che cerca di tanto in tanto di guardare in alto ma non riesce mai davvero a essere degno dei modelli di riferimento scomodati dalle suggestioni e dagli automatici accostamenti. C’è Kubrick in particolare che spunta tra le cariche della cavalleria e i divani damascati, e non solo perché il sogno di realizzare un suo Napoleone fu una delle grandi ossessioni del regista di «Arancia meccanica»; non bastano però un paio di candelabri per giocare nello stesso campionato di «Barry Lyndon». Il Bonaparte di Scott respira aria decisamente meno fina. Intrattiene sì, non annoia, per carità, ma i grandi film sono un’altra cosa.

Luca Canini

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