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La recensione

«La chimera» di Alice Rohrwacher

Voilà! Il terzetto è diventato quartetto, il quartetto del bel cinema italiano: Cortellesi, Albanese, Riondino e Alice Rohrwacher con il suo cinema divergente e personalissimo. Un cinema che non disdegna i rischi, ama sbandare per eccesso di creatività e vitalità, uscire dai binari della narratività per ritrovare il fascino delle immagini allo stato nascente, per mettere in scena il fantastico - non a caso «La chimera» - che sgorga dal reale. Il reale è la rappresentazione di una banda di tombaroli che fanno incetta di reperti etruschi nelle campagne toscane; il fantastico è il protagonista, Arthur (l’attore Josh O’Connor), strana, surreale figura di eroe romantico, a metà strada tra l’archeologo e il rabdomante in grado di sentire il vuoto sotto di sé, le tombe e la presenza della morte, trasfigurata nella bellezza artistica. Il reale è il viaggio in treno di Arthur e la sua rabbia nei confronti dei volgari tombaroli per colpa dei quali è finito in prigione; il fantastico è la presenza delle ragazze in treno, i cui volti e corpi, antichi come quelli dipinti sui sarcofaghi etruschi, svaniscono nella luce mediterranea. Il reale è il decadente palazzotto in cui vive Flora (Isabella Rossellini), una matriarca circondata da un esercito di figlie e accudita da una badante, alla quale insegna la musica e il canto; il fantastico è il rapporto tra Arthur e Flora, madre di Beniamina, l’amata inseguita con appassionata nostalgia da Arthur, novello Orfeo, tra terra e cielo, lampi di luce e oscurità totale, tra i vivi e i morti. Rohrwacher sa che il cinema vero vive di ribellione ai canoni naturalistici e, in un’aura vagamente sovversiva, dove non conta tanto il racconto quanto l’evocazione, ritrova i toni poetici e profetici di Pasolini, Olmi e Fellini. 

F.Bon.

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